Reskilling delle competenze: investimento organizzativo o personale?
Il World Economic Forum ha recentemente stimato che 1,4 milioni di persone perderanno il lavoro entro il 2026 a causa di cambiamenti tecnologici.
Altri studi evidenziano come il 39% degli intervistati si senta poco esperto nella gestione dei dati, con particolare attenzione alla capacità di analisi e alle competenze informatiche, più in generale. Il secondo set di competenze con il divario più ampio è rappresentato da quelle aziendali e trasversali, compresa la gestione dei progetti e la leadership, con oltre un terzo degli intervistati carenti in questo settore.
Statistiche come queste raccontano le sfide che attendono il mondo del lavoro, inteso come backend (le aziende) e frontend (le persone). In questo articolo, ci vogliamo rivolgere ad entrambe le facce della luna.
Sono le persone a dover essere parte attiva nel costruire il proprio percorso di formazione e aggiornamento oppure compete alle aziende il fatto di creare cambiamento e impatto sulle comunità locali e sui propri lavoratori?
Reskilling delle competenze: dalla parte delle imprese
Le imprese che focalizzano sulla propria responsabilità sociale mirano ad avere un impatto positivo sulla comunità ove risiedono. Le organizzazioni, tuttavia, hanno una sempre maggior esigenza di personale già aggiornato, allineato alle nuove esigenze di mercato (reskilling). Molte Organizzazioni quindi (se non tutte) si stanno interrogando sulla necessità di strategie mirate allo sviluppo e al mantenimento del talento della propria forza lavoro, preservandone la funzionalità aziendale e il benessere individuale.
E’ già stata acclarata la relazione fra competenze/istruzione e impatto sull’economia: una forza lavoro aggiornata e competente ha avuto storicamente un impatto positivo sia sul potenziale di guadagno medio sia sul tasso di occupazione.
Ciò significa concentrarsi sulla rimozione delle barriere – tempo, costi e organizzazione – a favore di un’istruzione di alta qualità , nei campi richiesti.
Secondo il Rapporto sull’Apprendimento della forza Lavoro 2019 di LinkedIn, il 94% dei dipendenti in USA rimarrebbe pi๠a lungo in un’azienda se questa semplicemente investisse in programmi di apprendimento.
Qualcuno, in effetti lo fa già .
Un esempio, il programma Career Choice di Amazon paga fino al 95% delle tasse scolastiche e percorsi di certificazione o diploma in ambiti qualificanti: finora hanno partecipato a questa iniziativa oltre 10.000 dipendenti. Boeing rimborsa le tasse universitarie, i libri e le spese per i programmi di laurea e certificati professionali, nonché i corsi individuali in scuole di alta qualità .
Grandi nomi sì, ma l’investimento in soluzioni di apprendimento mirate e di qualità risulta ormai necessario per vincere la guerra dei talenti e mantenere un impatto positivo sul mercato e sulla comunità .
Perché non farlo, anche con azioni di filiera, di area geografica di appartenenza, eventualmente con l’aiuto delle associazioni di categoria di riferimento?
Il ruolo attivo delle Organizzazioni nel reskilling dei propri collaboratori è chiaro e indubbio.
Un sondaggio dell’Harvard Business Review rivela al contempo come molti leader aziendali affermino di preferire candidati in grado di svolgere non solo il lavoro attuale, ma capaci di apprendere in autonomia e in tempo reale quanto necessario per svolgere il lavoro di domani. Lavori che, spesso, non sono ancora stati inventati.
Il reskilling delle competenze: dalla parte delle persone
Che ruolo possono avere quindi le persone nel proprio reskilling? Andiamo oltre il generico concetto di fiducia in se stessi: secondo la teoria socio-cognitiva, le singole individualità contribuiscono a produrre, con le loro azioni, gli effetti desiderati; ciò stimola ad agire ulteriormente, creando in un circolo virtuoso. In senso aziendale, è importante che le persone siano convinte della propria adeguatezza per poter affrontare efficacemente determinati compiti ed essere a proprio agio nelle diverse situazioni. E’ lo psicologo canadese Albert Bandura a definire questo concetto come il “Senso di Autoefficacia”, espresso anche come “la convinzione circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati (1977).”
Le persone quindi, nella vita, così come nella professione, devono prima scoprire e poi puntare sulla loro agentività (agency): cioè far leva sui propri punti di forza e unicità per far accadere le cose. L’autoefficacia è un concetto sostanzialmente diverso rispetto all’autostima poiché “il senso di autoefficacia riguarda giudizi di capacità personale mentre l’autostima riguarda giudizi di valore personale.” (A. Bandura)
Il senso di autoefficacia è relativo al livello percepito di capacità e di efficacia legate alla sfera del proprio fare, l’autostima personale riguarda il giudizio di valore e la stima nella sfera dell’essere della persona. L’autoefficacia funziona come un’organizzazione gerarchica di credenze, con diversi livelli di concretezza e complessità dell’azione da compiere, dove tali credenze influenzano profondamente l’apprendimento e anche lo sviluppo a lungo termine (Bandura, 2000; Ehremberg, Cox e Koopman, 1991).
Magia? Sciocchezze motivazionali?
No, si tratta di imparare a focalizzare sulla realtà e a intervenire sulla stessa, con azioni concrete fatte di obiettivi, scadenze e piani definiti. Il proprio reskilling non è un’azione meno concreta rispetto all’obiettivo reale di rimanere appetibili sul mercato o per la propria organizzazione.
Albert Bandura identifica tre classi di cause che influenzano la condotta dell’individuo:
- I fattori personali interni, costituiti da elementi cognitivi, affettivi e biologici;
- Il comportamento messo in atto in un dato contesto;
- Gli eventi ambientali dati dal contesto e dalle relazioni.
Nei confronti dell’ambiente, ogni individuo si pone attuando tre possibili comportamenti: adattamento e integrazione all’ambiente a cui appartiene, miglioramento e modifica parziale del contesto o delle relazioni oppure cambiamento e quindi rottura e uscita dal contesto attuale.
Nella teoria di Bandura, i pensieri e le emozioni acquistano un ruolo concausale nei confronti dei comportamenti, mettendo in evidenza come le aspettative proprie e altrui riguardo le prestazioni esercitino un’influenza sui comportamenti, sulla valutazione dei risultati ottenuti e in ultima analisi sull’apprendimento.
Certo non è semplice capire su cosa focalizzare il reskilling e qui si chiude il cerchio: perché non fornire ai propri dipendenti informazioni precise sul tipo di competenze richieste internamente e dal mercato? Alcune competenze potrebbero essere curate direttamente dall’Organizzazione, altre coltivate (perché no?) come investimento personale dal singolo.
Credere in te stesso non ti garantisce un successo sicuro. Ma non credere in te stesso produce senza dubbio un insuccesso (Bandura).
Lasciamo che reskilling sia sinonimo di fiducia in se stessi per le persone, in contesti in cui le Organizzazioni abbiano saputo comunicare le proprie esigenze di cambiamento e creato situazioni fertili per i fabbisogni relazionali, di competenza e di autonomia dei propri dipendenti.