Cos’è il proximity bias, come evitarlo e migliorare l’employee management
La parola bias, sebbene non sia propria della lingua italiana – ma di origine inglese arrivata tramite il francese provenzale – è, al giorno d’oggi, entrata a pieno titolo nel nostro modo di comunicare.
Il suo significato – traducibile come stereotipo o distorsione mentale – è sempre più diffuso, in particolare tra chi si occupa di gestione del personale come i team HR.
Nello specifico, un bias è un pregiudizio, conscio o inconscio, che una persona ha nei confronti di un’altra o in merito a una determinata situazione che in generale non conosce approfonditamente.
Di bias vive il mondo del lavoro. Per esempio, una tipologia di bias molto presente negli ambienti lavorativi è quella legata alla mancanza di informazioni, come il cosiddetto “effetto alone”. Questo fenomeno colpisce tanto i recruiter quanto i manager che, quando incontrano una persona di bell’aspetto, sono inclini a pensare che di conseguenza sia anche intelligente e competente nel suo lavoro.
Altrettanto diffusi sono i cosiddetti “bias di conferma”, vale a dire quando si considerano valide solo le informazioni che confermano determinate ipotesi e convinzioni, scartando a priori tutte le altre. Questo, per esempio, può influenzare la scelta di un progetto tra due presentati oppure confermare delle convinzioni su una persona di cui si sa davvero molto poco.
Nell’epoca in cui viviamo, tra lavoro ibrido e smart working, si è diffuso anche il fenomeno del “proximity bias”.
Vediamo di cosa si tratta e come affrontarlo quando si parla di employee management.
Cos’è il proximity bias
Chi lavora da remoto o in modalità ibrida potrebbe godere di una minore considerazione e avere più difficoltà a fare carriera rispetto a chi è presente in ufficio ogni giorno.
Archiviato il periodo pandemico in cui lo smart working ha permesso a molti di continuare a lavorare nonostante le chiusure, chi continua a lavorare da remoto (per i motivi più vari, come aziende open minded che puntano sullo smart working, lavori che non richiedono la presenza in sede, miglioramento del work-life balance, ecc.) rischia di essere vittima del proximity bias.
I manager, infatti, potrebbero trattare in maniera diversa i dipendenti che hanno vicino rispetto a quelli lontani, affidando ai primi progetti più interessanti o redditizi e considerarli, in genere, risorse più valide.
A confermare il fenomeno del proximity bias e l’idea che “se non ti vedo non ci sei”, è anche un sondaggio di SHRM (Society for Human Resource Management), dal quale è emerso che i due terzi dei manager responsabili della supervisione dei lavoratori a distanza ritengono che essi siano più facilmente sostituibili rispetto ai lavoratori in presenza. Inoltre, il 42% a volte “dimentica” i lavoratori a distanza quando assegna le varie attività.
Lo smart working diminuisce le possibilità di carriera?
A confermare il fatto che il percorso di carriera sia più complicato per chi lavora da remoto, c’è anche un articolo del Wall Street Journal dal titolo esemplificativo “Remote Workers Are Losing Out on Promotions”, ripreso anche da Corriere Economia.
Dal testo emerge come gli smart worker abbiano fatto un salto di carriera con una frequenza media più bassa del 31% rispetto a chi lavora in ufficio o anche in modalità ibrida. Secondo la ricerca, infatti, nel 2023, il 5,6% di questi ultimi ha ricevuto una promozione contro il 3,9% di chi invece lavora da remoto.
Come evitare il proximity bias
Se è vero che ci sono aziende che hanno fatto marcia indietro, rinunciando allo smart working o “limitandolo” a uno o due giorni al mese, resta comunque il fatto che dare la possibilità di lavorare da remoto è importante. Non solo rappresenta una leva di attrazione per chi sta cercando un nuovo lavoro, ma spesso è una modalità richiesta dagli stessi dipendenti per ragioni legate all’equilibrio vita-lavoro.
Cercare di “combattere” il bias legato alla prossimità è quindi importante per l’employee management, non solo per offrire a tutti le stesse opportunità e non fare discriminazioni, ma anche per mantenere un clima aziendale sereno e mettere in pratica i valori che sostengono la cultura della propria organizzazione.
Ecco quindi alcuni suggerimenti.
Riconoscere che il bias di prossimità esiste e comportarsi di conseguenza
Anziché nascondersi dietro un dito, è importante ammettere il problema che, peraltro, fa parte di una natura umana incline a credere a quanto vede, oltre a essere conseguenza di quel presenzialismo che ha sempre contrassegnato un po’ le aziende italiane. Partire con riconoscere il problema permette di organizzare incontri ad hoc tra i vari responsabili e pensare a delle soluzioni per evitarlo. Quali? Per esempio, esercitarsi a valorizzare i risultati finali e a mettere in primo piano la collaborazione in ogni sua forma. Ma non solo. Ecco di seguito altri suggerimenti.
Organizzare al meglio i feedback tra i vari team
Organizzare dei momenti di feedback, anche in modo informale, è importante per testare con le persone che fanno parte del proprio team il polso della situazione. Questo vale sia per chi lavora in un ufficio HR che, in generale, per tutti i reparti aziendali.
Se è vero che spesso in azienda ci sono dei momenti di feedback “strutturati”, è importante, allo stesso tempo, che tra chi lavora nello stesso team il confronto sia costante e organizzato anche a seconda delle esigenze delle singole persone, in particolare chi lavora da remoto.
Lavorare da remoto consente, infatti, alle persone di gestire il proprio tempo adattando le giornate lavorative alle proprie esigenze personali. Per organizzare momenti di feedback che tengano conto delle necessità di ciascuno, bisogna pensare, quindi, sia alla frequenza – alcuni preferiscono avere confronti ogni giorno, altri una volta a settimana – che alla modalità. In questo secondo caso, c’è da considerare chi preferisce comunque un incontro dal vivo (nelle giornate in cui si è in presenza), chi una videochiamata e chi preferisce una modalità asincrona, come può essere un’e-mail.
Misurare le prestazioni dei dipendenti in base a risultati quantificabili
In base a quanto abbiamo detto, per limitare il pregiudizio di prossimità è importante progettare un sistema di valutazione delle prestazioni basato sulla produttività anziché sulle ore trascorse in ufficio o online.
Una misurazione delle performance basata su risultati quantificabili va sicuramente nella direzione di garantire opportunità di carriera e promozioni sulle base delle reali prestazioni lavorative dei dipendenti. Permette, inoltre, di valutare i progressi effettivi e, allo stesso tempo di identificare eventuali aree di forza e di miglioramento, mettendo tutte le persone sullo stesso piano e cercando di “contenere” il più possibile i bias.
I vantaggi dell’eliminare i bias di prossimità in azienda
In conclusione, eliminare i bias di prossimità dalle aziende offre numerosi vantaggi, tra cui:
- favorire la creazione di un luogo di lavoro più equo e inclusivo;
- aumentare la trasparenza nei confronti dei dipendenti;
- promuovere una modalità lavorativa orientata al risultato;
- garantire pari opportunità per tutti;
- incrementare il coinvolgimento di dipendenti e collaboratori;
- garantire alle risorse un maggiore benessere;
- rendere l’azienda più attrattiva e accogliente.