La maturità digitale significa ricomporre la frattura tra umano e tecnologico
Il concetto di maturità digitale si configura come coscienza critica nell’utilizzo degli strumenti di rete.
La tecnologia è entrata a far parte dei nuovi valori e dei criteri di giudizio che animano le aziende, in particolar modo le realtà che stanno investendo in modo convinto sulla trasformazione digitale. A coloro che se ne servono quotidianamente sarà richiesta un’iperspecializzazione, un processo evolutivo di carattere tecnico-scientifico che inevitabilmente conduce verso una crescente complessità , a danno della sfera umanistica. L’illusione è che sia impossibile (oltre che inutile e superfluo) qualsiasi contatto interdisciplinare tra questi due mondi.
Il prof. Dominici, docente di comunicazione pubblica e attività di intelligence, Complexity and Systems Thinking, esperto di complessità e sistemi organizzativi all’Università di Perugia, ha da tempo segnalato il pericolo che questo pensiero rappresenti una falsa dicotomia, un modo di vedere che permea tutte le logiche e le culture che reggono le organizzazioni complesse, orientate soprattutto al problema delle competenze, cioè all’importanza del saper fare.
Occorre invece superare il binomio teoria – pratica, formazione scientifica e formazione umanistica, conoscenze e competenze, hard skill e soft skill. Citiamo le parole stesse del professore rilasciate in una recente intervista:
“Nella società ipercomplessa, al contrario, non sono più sufficienti il “sapere” o il “saper fare”: dobbiamo “sapere”, dobbiamo “saper fare”, ma dobbiamo anche “saper comunicare il sapere” e “saper comunicare il saper fare”. Non è inutile ribadirlo: occorre essere consapevoli che il futuro è di chi riuscirà a ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico, di chi riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tra naturale e artificiale; di chi saprà coniugare conoscenze e competenze; di chi saprà coniugare e fondere le due culture (umanistica e scientifica) sia a livello di educazione e formazione, che di definizione di profili e competenze professionali”.
D’altra parte, anche i cosiddetti “scrittori di Dublino”, ossia le enunciazioni generali stabilite a livello europeo, che rappresentano i requisiti minimi richiesti per l’istruzione superiore, prevedono conoscenza e capacità di comprensione semplice e applicata ma anche autonomia di giudizio (making judgements).
Con l’avvento tecnologico, si è verificato un aumento incredibile della velocità con la quale vengono svolte le attività di lavoro, un’accelerazione dei processi che rende sempre più complicata la loro gestione e, al contempo, riduce i tempi di riflessione, di analisi critica e, conseguentemente, anche quelli necessari per assumersi la responsabilità nel prendere le necessarie decisioni.
L’errore o l’illusione, come sostiene Dominici, è pensare che in futuro le cose saranno ancora più rapide e saremo perciò costretti a delegare a sistemi e dispositivi tecnologici – siano essi algoritmi o robot – anche le responsabilità , che spetterebbero a noi in quanto persone, con l’idea che il fattore umano, sociale e relazionale possa essere considerato tutto sommato secondario.
Se è vero che i nuovi strumenti finalizzati alla condivisione della conoscenza potranno portare a un ridimensionamento delle organizzazioni, con una maggiore facilità di accesso alle informazioni per tutti i collaboratori, bisognerà però non perdere di vista l’importanza del controllo sugli strumenti che si utilizzano.
In quest’ottica acquisiscono sempre più importanza le figure responsabili nella gestione del processo di formazione aziendale, con il compito di proporre materiali e contenuti interessanti secondo una logica strategica, lasciando la libertà ai discenti di affrontare il percorso formativo in autonomia. La possibilità di apprendere secondo le proprie necessità e i propri ritmi, unita alla facilità di condivisione dei contenuti formativi, permettono ai collaboratori di essere parte attiva della propria formazione.
Accanto al problema del digital divide, cioè la necessità di superare il divario tra chi sa usare queste tecnologie e chi invece è meno abile, occorrerà di pari passo, e forse con maggiore urgenza e sensibilità , risolvere quello ancora più importante del cultural divide per cercare di fare in modo che le tecnologie vengano usate sempre con spirito critico e libero, lasciando al fattore umano un ruolo decisivo nel momento della scelta.
Per affrontare in modo consapevole la trasformazione digitale bisogna capire sempre meglio come funzionano le tecnologie di cui disponiamo, ma ancora di più chiedersi, quando è necessario, il perché di certe scelte, per comprendere il senso di quello che stiamo facendo. Come diceva lo psicologo americano Chris Skinner:
“Il vero problema non è tanto se le macchine siano capaci di pensare quanto se gli uomini continueranno a farlo”.