La comunicazione interna e il cambio di paradigma
Se una di queste affermazioni vi è familiare, è possibile che nella vostra azienda esista un problema di comunicazione interna:
“Non posso credere che non ne sapessero nulla era sulla intranet!”
“Ma se abbiamo inviato almeno tre mail con la stessa informazione!
“Noi comunichiamo, è la gente che non legge.
Passato il primo momento di frustrazione da insuccesso, il comunicatore ha il compito di andare oltre e chiedersi dove faccia acqua il sistema di cui si occupa.
La prima disfunzione, in genere, non è di tipo tecnico, ma culturale: si danno per scontati degli assunti sulla base di percezioni personali non sempre realistiche.
Si è spesso convinti che:
1. Informazione e comunicazione coincidano (mentre presentano caratteristiche diverse e necessitano gestioni diversificate);
2. Esista un unico canale di comunicazione (idea un tantino datata di questi tempi);
3. Esista un unico tempo di comunicazione (ho mandato una mail ieri, punto);
4. Gli interessi specifici del pubblico al quale ci si rivolge non siano rilevanti (e non c’è errore più grave);
5. I fatti organizzativi notiziabili sono pochi (o sono troppi, quindi non si possono curare tutti).
Ma se la comunicazione interna (che diventa, ormai, comunicazione organizzativa, data la complessità dei suoi ambiti di competenza) è un “Insieme di processi di creazione e scambio di contenuti all’interno delle diverse reti di relazioni che costituiscono l’essenza dell’organizzazione” diventa evidente l’obsolescenza di queste considerazioni.
La seconda criticità è, invece, di tipo strategico: dare per scontato che qualcuno leggerà per il solo fatto che abbiamo scritto. Qui non si tratta di diventare Indro Montanelli, ma, nella società liquida che sforna organizzazioni sempre più mutevoli e composte da professionisti iperconnessi, bombardati da informazioni di ogni tipo, è impensabile che la comunicazione interna non venga (anche inconsapevolmente) processata attraverso gli stessi criteri di gradevolezza e utilità utilizzati per quella esterna.
Diventa, quindi, molto più importante che in passato confezionare il know how in forme facilmente fruibili (post, infografiche, video-tutorial) con titoli mirati (che aiutino a fare delle scelte), lunghezze adeguate (la leggibilità non è un optional), grafiche accattivanti (mandiamo in pensione l’aspetto triste di certe intranet) e, perché no, condivisibili con un pulsante (ottimo sistema per comprendere se e in che modo i nostri contenuti stanno funzionando).
In questo senso, anche tutti gli strumenti della formazione diventano funzionali. Che si tratti di piattaforme per il knowledge sharing direttamente collegate alla intranet, di chat interne per il confronto in tempo reale, di repository per condividere materiali didattici (e, magari, votare quelli migliori), i nuovi imperativi sono: facilitare, farsi scegliere, coinvolgere, monitorare i risultati.
Aspetto, quest’ultimo, legato alla creazione di un piano di comunicazione strutturato che tenga conto di obiettivi specifici (in linea con quelli corporate), identificazione dei vari segmenti di audience (e delle loro caratteristiche anche soft), definizione di un piano editoriale (e diversificazione dei formati), scelta dei canali (la intranet potrebbe funzionare per alcune attività , non per altre) e, naturalmente, KPI di efficienza (ho raggiunto il pubblico) ed efficacia (il pubblico raggiunto ha compiuto l’azione auspicata).
Se i paradigmi di comunicazione e di relazione sono cambiati con la famigerata rivoluzione digitale, potrebbe avere senso capire in che modo stia mutando il ruolo del comunicatore interno, sempre più community manager e regista-pianificatore e sempre meno mero responsabile della rassegna stampa.