Job Hopping: strategie efficaci per gestirlo in azienda
Il Job Hopping è un fenomeno di cui si parla sempre di più negli ultimi anni, che rappresenta da un lato la manifestazione di un diverso approccio al lavoro da parte delle nuove generazioni e, dall’altro, una interessante sfida per le aziende, chiamate a rinnovare i propri modelli di gestione delle risorse umane. Nello specifico, questa espressione rimanda ai frequenti cambi di lavoro da parte dei dipendenti, una tendenza sempre più diffusa, in particolare tra i millennial, che trova le sue radici in alcuni importanti cambiamenti avvenuti a livello sociale e tecnologico. Ma cerchiamo di capire meglio cos’è il Job Hopping, chi lo pratica e come i manager HR possono affrontare questa realtà in modo efficace.
Significato di Job Hopping e chi lo pratica
Il termine “Job Hopping” è un anglicismo composto dalle parole “lavoro” e “saltando”, utilizzato per riferirsi alla pratica di cambiare frequentemente lavoro o azienda, solitamente in periodi di tempo brevi. Si tratta di una tendenza emersa in tempi recenti e particolarmente diffusa tra i lavoratori nati tra gli anni ’80 e metà anni ’90, noti come millennial, che a differenza delle generazioni precedenti si trovano a confrontarsi con un mercato del lavoro completamente differente, basato spesso su contratti a termine, e che al tempo stesso si mostrano molto più propensi ad abbandonare il proprio posto per ottenere condizioni migliori, non solo dal punto di vista economico.
Questo cambiamento culturale ha portato i giovani professionisti a cercare nuove sfide, spinti dall’ambizione di migliorare nel tempo la propria posizione sociale e meno legati all’idea di stabilità lavorativa che caratterizzava i loro genitori e nonni. La motivazione dietro il Job Hopping può dunque essere legata a diversi fattori, come il desiderio di nuove opportunità, noia in ambienti di lavoro non stimolanti o semplicemente la ricerca di una migliore aderenza ai propri interessi.
Tipologie di job hopper e come individuarli
Nella realtà, il Job Hopping fa riferimento a situazioni di diversa natura ed è pertanto necessario capire innanzitutto chi sono i job hopper e perché scelgono di cambiare lavoro così frequentemente. In linea generale, i job hopper sono solitamente individui tra i 25 e i 35 anni che cambiano lavoro ogni due anni circa, talvolta anche meno, per varie ragioni. A seconda delle motivazioni, si distinguono:
- Job Hopping inevitabile, cioè quando il cambiare lavoro è una necessità legata a questioni temporali, come la fine di uno stage o di un contratto a tempo determinato. Rispetto al passato, infatti, queste forme contrattuali sono molto più diffuse e ciò genera una maggiore instabilità generale sul mercato del lavoro, soprattutto per coloro che sono alle prime esperienze e vengono assunti con contratti di prova o comunque con una scadenza prestabilita.
- Job Hopping inteso come possibilità di miglioramento, ossia quando il professionista trova un’opportunità che offre maggiori benefici, non solo in termini salariali ma anche in condizioni di lavoro più favorevoli. Da questo punto di vista, il Job Hopping rispecchia appieno la maggiore attenzione delle persone verso l’equilibrio tra lavoro e vita privata, rappresentando un’occasione per migliorare le proprie condizioni scegliendo di lavorare per un’azienda più attenta al benessere dei dipendenti sotto ogni punto di vista.
- Job Hopping di natura problematica, in cui individui che hanno difficoltà ad adattarsi all’ambiente di lavoro e hanno sperimentato frequenti cambi di lavoro a causa di ambienti ostili o relazioni conflittuali. Quest’ultimo punto va, tuttavia, osservato da due diverse angolazioni: da una parte, infatti, è possibile che la persona non sia effettivamente in grado di gestire i rapporti con colleghi, datori di lavoro e altri soggetti coinvolti nelle dinamiche aziendali, dall’altro, però, non mancano situazioni ambientali critiche che generano ansia e stress a chi ci lavora, che a lungo andare portano alla scelta di abbandonare per cercare altro. La situazione va dunque analizzata tenendo conto di tutti i fattori che possono averla influenzata.
Per le aziende, può essere molto importante individuare i possibili job hopper durante il processo di selezione e comprendere le ragioni del loro comportamento, poiché l’assunzione di persone lavorativamente “instabili” può rappresentare non solo un costo, ma anche un rischio a livello interno. È chiaro che non tutti i job hopper vanno considerati in maniera negativa, proprio perché le motivazioni possono essere molto differenti da un lavoratore all’altro, e per questo è opportuno effettuare sempre un’analisi attenta delle date dei lavori precedenti, delle ragioni per il cambio e dei valori e interessi del candidato. Gli specialisti HR possono avvalersi in questo senso di software HR, come quelli sviluppati da TeamSystem, che permettono di raccogliere, catalogare e analizzare tutti i dati rapidamente, generando profili dettagliati di tutti i candidati: in questo modo, sarà molto più facile individuare i profili più in linea con la propria realtà lavorativa e ottenere un miglior rendimento a collaborazione avviata.
La gestione dei giovani talenti in azienda
Il Job Hopping è oggi una sfida significativa per i manager HR, soprattutto considerando l’entrata nella forza lavoro della generazione Z, ancora più proiettata a scontrarsi con ciò che ostacola la propria libertà personale. Se i millennial hanno, infatti, sovvertito molte regole e consuetudini considerate rigide dalle generazioni precedenti, i più giovani sono ancora più rivolti verso approcci che puntano a ottimizzare il rapporto tra vita personale e professionale, con un maggior equilibrio con legami familiari, amicizia e salute mentale, e a non considerare il lavoro come un qualcosa di statico da conservare fino all’anzianità.
Il focus delle aziende deve dunque spostarsi verso queste rinnovate esigenze, con politiche di gestione dei giovani talenti strutturate in modo tale da creare una completa sintonia tra l’individuo e il suo lavoro e massimizzare il benessere complessivo, non guardando solo all’aspetto economico, seppur importante, ma anche ad altri importanti fattori. Offrire un ambiente di lavoro sano, in cui potersi sentire realmente apprezzato per il lavoro che si svolge, è fondamentale per ridurre al minimo il turnover e migliorare la produttività, come vedremo in seguito.
Come affrontare il Job Hopping e ridurre i rischi per le aziende
Le imprese sono dunque chiamate a gestire in maniera differente le diverse attività legate alle risorse umane, anche allo scopo di evitare che il fenomeno di Job Hopping si diffonda creando un ambiente instabile e poco produttivo. Un eccessivo ricambio dei dipendenti coincide, infatti, con un generale malcontento all’interno dell’organizzazione e con un minore coinvolgimento dei lavoratori verso i risultati aziendali.
Cosa devono fare, dunque, le aziende e, più nello specifico, i manager HR per affrontare al meglio il Job Hopping? Le strategie da adottare sono diverse e riguardano le varie fasi del rapporto tra dipendente e datore di lavoro.
In primo luogo, occorrerà, come già visto, migliorare i processi di selezione dei candidati sfruttando l’opportunità offerta dalle nuove tecnologie e dai software di HR di analizzare rapidamente grosse moli di dati, generando profili sempre più accurati e in linea con la filosofia aziendale. A questo punto, una volta scelti i nuovi profili da inserire in azienda, si dovranno ottimizzare i processi di onboarding, in maniera tale da garantire che i nuovi dipendenti non solo siano in grado di svolgere i loro compiti, ma si integrino anche nei valori e nelle dinamiche aziendali, diventando parte dell’organizzazione sin da subito.
Considerando che uno dei principali motivi che spingono i lavoratori, oggi, a lasciare l’azienda per cui lavorano sono le problematiche connesse allo stress e i comportamenti errati di capi e responsabili, che sovraccaricano i dipendenti senza riconoscere la loro importanza, un altro punto centrale nella lotta al Job Hopping è la capacità dell’impresa di dare la giusta centralità alle persone e al loro benessere. In questo senso, risultano sempre più importanti non solo il rispetto delle condizioni contrattuali di base (non sempre così scontato), ma anche il riconoscimento di bonus e la promozione della salute mentale, con programmi di prevenzione dello stress da lavoro. Creare un ambiente che riconosca la giusta importanza a tutti gli individui e li supporti a 360 gradi permette, infatti, di accrescere l’employee engagement e favorire una relazione professionale di lungo termine.
Proprio in quest’ottica, non va però dimenticata anche l’importanza di sviluppare piani di carriera e sviluppo professionale che permettano a ciascun lavoratore di puntare alla propria crescita e di riconoscere, all’interno dell’organizzazione, l’opportunità di raggiungere desideri e aspirazioni, un ulteriore elemento di incentivazione alla permanenza in azienda.
Il Job Hopping è, insomma, un fenomeno in continua crescita ed evoluzione, che deve far riflettere oggi le aziende e spingerle a ripensare i modelli adottati al loro interno, al fine di adattarsi a questa realtà in rapido cambiamento. Sviluppare strategie innovative per attrarre, trattenere e sostenere i valori dei lavoratori è infatti oggi essenziale per rimanere competitivi in un contesto sociale sempre più mutevole.