Innovation Management: personalizza i metodi di fare innovazione nella tua Azienda
Il tema dell’Innovation Management mi pareva adatto per ricominciare a buttar giù qualche riga, non solo per il suo significato intrinseco, quanto per l’aver intercettato alcuni spunti interessanti durante il fasullo riposo feriale.
Il primo stimolo è arrivato grazie a un articolo di Davide Galletti e potrei sintetizzarlo in questo modo: ogni organizzazione dovrebbe spendere tempo e intelligenza nel personalizzare i criteri legati al fare innovazione e, di conseguenza, al change management.
Innovare, infatti, come tutti i concetti complessi, vuol dire tutto e niente, ma raramente si assiste a uno sforzo per adattarlo a una determinata realtà e non semplicemente mutuarlo, nelle sue componenti pi๠evidenti, da qualche competitor o qualche trend del momento.
In altre parole, quand’è che sono riuscito davvero a innovare nella mia impresa? Quali indicatori mi confermano che il cambiamento è in atto e procede bene, con una ricaduta positiva sul business, sull’operatività , sul benessere?
Un cambiamento che, ad esempio, generi molte nuove idee, ma non un immediato ritorno economico rientra o no nel concetto di innovazione che l’azienda persegue? Ha generato valore? Quale potrebbe essere la ricaduta nel tempo? In che modo influisce su altri processi, sugli intangibili, sulla conoscenza, sulla riduzione dei costi, sul clima, sulla fiducia, sulla competitività ?
Galletti ricorda: Ogni tipo di valore può essere immaginato in comunicazione con gli altri. Nel tempo, un certo valore può trasformarsi. Una opportunità può diventare tangibile in forma di nuovo cliente, che genera denaro da investire in nuove competenze distintive utili a migliorare i processi e renderci meno esposti alle minacce, e così via.
Pare, quindi, che non sia possibile innovare davvero senza abbracciare una logica sistemica in grado di identificare impatti e conseguenze di determinate scelte nel medio, breve e lungo termine, ma, soprattutto, colga il potenziale inespresso, anche quando sembra di aver fatto molto rumore per nulla.
E questo apre un secondo ragionamento: se l’innovazione può essere definita come un “cambiamento desiderato”, come la mettiamo quando diventa semplicemente un’urgenza, per lo più subita, nel semplice tentativo di sopravvivere? Su quali comportamenti si può provare a lavorare per rendere il processo più fluido ed efficace?
Secondo una ricerca dell’Economist, tra i principali ostacoli all’innovazione troviamo la scarsa cultura del rischio.
“Exploring new ideas is not enough. The key to being truly innovative is taking risks, and then learning from your experiences. People with a high learning agility are able to take feedback and adjust strategies accordingly, without becoming discouraged. We need to create a culture in which risk-taking is encouraged. Fear of failure is one of the most common inhibitors of innovation”. Matias Rodsevich
Molto interessante, ma continuo a chiedermi in che modo far dialogare una cosa così veloce come l’innovazione con un’altra così lenta come la componente culturale.
Mi arrovello e torno allo stesso punto: formazione e creazione di team interfunzionali (il famigerato organigramma ombra) che vadano costruire piano piano, attraverso l’apprendimento e la comunicazione, l’intelaiatura adeguata ad accogliere il nuovo, senza morire d’infarto e senza pretendere di ottenere tutto subito, con una potente visione su quello che non c’è ancora, ma sta per esserci.