Il social learning si può pianificare e favorisce l’engagement dei dipendenti
Oggi il concetto di “social learning” è oggetto di attenzioni particolari e approfondimenti continui sia dal punto di vista pratico-operativo sia da quello puramente teorico. Sotto quest’ultimo aspetto penso sia importante fornire spunti per consentire a chi lo desideri – al di là del fatto che si occupi di formazione o risorse umane – di farsi un’idea più chiara delle logiche e delle competenze comunicative necessarie per generare questo nuovo tipo di apprendimento.
Nell’articolo, segnalo uno schema molto semplice realizzato da Jane Hart, che si occupa di “social learning“. Sul tema ha anche scritto un libro al quale rimando per ulteriori approfondimenti: “Modern Workplace and Learning. A Resourche Book per L & D.“, che permette a colpo d’occhio di cogliere il problema nella sua interezza e nelle sue possibili evoluzioni.
Lo schema è sufficientemente esplicativo, spiega come stia cambiando il processo di apprendimento nelle aziende, specie quelle pi๠legate all’utilizzo di strumenti digital e social. Il problema che emerge con prepotenza da queste indicazioni di massima è l’importanza di conoscere bene i propri collaboratori prima di procedere alla pianificazione dell’attività di apprendimento, tenendo conto in particolare di tre fattori:
- del modo in cui i collaboratori si approcciano allo studio (stile di apprendimento),
- del loro livello di conoscenza degli strumenti digital e social,
- della loro maggiore o minore disponibilità nei confronti di dinamiche collaborative.
Ci sarà chi, legato di più al passato, potrà privilegiare ancora i sistemi consolidati di insegnamento in classe o in corsi specifici di istruzione o aggiornamento, attraverso lezioni frontali; altri, con mentalità più dinamica e autonoma prediligeranno percorsi e strumenti meno strutturati, adattabili alle circostanze, come la gamification.
Nella segmentazione del livello di conoscenza degli strumenti digital e social occorrerà , inoltre, riconoscere i diversi step raggiunti dai collaboratori, a partire dai beginners, fino ai millennials e a quelli definiti “change agents” in grado di mettere a disposizione le proprie conoscenze nel settore in cui operano per favorire un cambiamento culturale all’interno dell’organizzazione.
Per far questo, almeno inizialmente, resta indispensabile prevedere un’interazione interpersonale. Un contatto “face to face” per chiarire l’identikit di ogni collaboratore secondo i fattori sopra segnalati. Dopo di chè sviluppare una azione comunicativa di tipo diverso a seconda dei gruppi delle persone adeguatamente mappati. Pi๠push quando si tratta di spingere e indirizzare gli individui che ancora non hanno intrapreso la strada digital; più pull con chi, al contrario, vuole imparare in modo più autonomo, avendo già una certa dimestichezza con gli strumenti digital.
Questo è anche l’unico modo per favorire l’engagement e la partecipazione attiva delle persone alla pianificazione di un percorso di apprendimento che, come accennava anche Jane Hart, non può che reggersi su tre pilastri:
- top down (contenuti e informazioni provenienti dall’organizzazione)
- botton up (contenuti e informazioni provenienti dai singoli collaboratori)
- peer to peer (contenuti scambiati ed elaborati collettivamente)