Investire sulla formazione dei dipendenti: anche questa è Corporate Social Responsability
Che si dica all’inglese, Corporate Social Responsability o all’italiana, Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), entrambe le formule indicano quell’impegno che un’azienda prende, con i dipendenti ma anche con chi sta all’esterno, di comportarsi in maniera corretta, etica, in una parola: responsabile. Tutto questo dando importanza al valore delle sue azioni dal punto di vista sociale e andando oltre il “mero” rispetto delle leggi. Cercando, senza essere troppo sognatori – ma forse un pizzico sì – di lasciare la propria impronta nel mondo, se non modificando la vita quotidiana delle persone quantomeno rendendola in qualche modo migliore.
Se mentre leggi questo articolo stai pensando che la CSR abbia a che fare con la cura, da parte delle aziende, delle aiuole o delle rotonde cittadine o con il realizzare progetti per le comunità locali al fine di dare loro servizi migliori, sappi che questo è solo una faccia della medaglia. La CSR può essere infatti esterna quando le azioni messe in campo riguardano le già citate comunità, ma anche i partner economici, i clienti, i consumatori, l’attenzione alla filiera produttiva e le preoccupazioni ambientali a livello mondiale. Per fare un esempio, un’azienda che si preoccupa di modificare i prodotti per produrre meno CO2 va sicuramente in tal senso.
Oltre a questo tipo di responsabilità sociale, le imprese possono averne una rivolta verso l’interno. La CSR interna infatti riguarda la gestione delle risorse umane, la salute e la sicurezza sul lavoro, ma anche l’organizzazione aziendale, la gestione degli ambienti di lavoro, delle risorse naturali ecc. Nella responsabilità sociale d’impresa, dunque, rientra anche quanto l’azienda fa per migliorare la vita dei propri dipendenti investendo sulla loro formazione, agevolando la loro crescita, aumentando la loro employability.
Cosa si intende per employability e cosa c’entra con la CSR
Employability è una parola intraducibile in italiano – se non con occupabilità. È giusto capire cosa sia e in che modo interessi un’azienda. Quando parliamo di employability, possiamo intendere diverse capacità che riguardano i lavoratori, in momenti differenti del loro percorso professionale, come precisa Sumantra Ghosal, studioso di management internazionale.
Per chi è più giovane, l’employability coincide con il sapersi assicurare un ingresso nel mondo del lavoro, e questo grazie alle conoscenze e alla competenze maturate durante la formazione scolastica, ma non solo. Anche l’avere viaggiato tanto e l’avere visitato diversi Paesi o l’avere fatto dei lavoretti mentre studiava, permette a un giovane di avere un buon grado di occupabilità. Per chi invece lavora già, l’employability è la capacità di garantire la propria continuità in azienda ma anche di sapere passare da un ruolo a un altro all’interno della stessa. Quando non si è dipendenti, ma liberi professionisti, l’employability è la capacità di saper “vendere” il proprio lavoro e il modo in cui lo si fa, ottenendo sempre più clienti o avendone di più importanti. In tutto questo va da sé – chi ha una partita IVA lo sa bene – la formazione e l’aggiornamento delle competenze è fondamentale.
Si parla di employability anche per chi si deve ricollocare e ha quindi delle competenze spendibili o si aggiorna per “adeguarsi” al mercato e diventare più attrattivo.
La formazione: parte integrante della CSR
Se parliamo di CSR, l’employability riguarda per lo più i dipendenti e tutt’al più – per un’azienda particolarmente evoluta – anche i collaboratori. Quando un’impresa punta sulla formazione e l’aggiornamento si comporta responsabilmente dal punto di vista sociale aiutando le sue persone interne, facendole stare meglio nell’ambiente di lavoro e dando contemporaneamente quella sensazione di “voler crescere tutti insieme”.
La formazione, di cui oggi si parla spesso, è dunque da un lato figlia del welfare aziendale, ossia delle misure di sostegno che un’impresa mette in campo per aiutare i suoi dipendenti, dall’altro di una vera strategia che tiene conto, nelle scelte aziendali, di aspetti etici e sociali. Puntare sulla crescita dei dipendenti, coinvolgerli tutti in un processo formativo vuol dire essere responsabili di un cambiamento collettivo (o almeno per la collettività dell’azienda).
Se è vero che oggi i lavoratori si possono formare anche in autonomia (negli ultimi anni grazie ai MOOC, ai webinar, ai meetup è sempre più facile farlo), un’azienda che sia responsabile li mette comunque nelle condizioni di apprendere offrendo al suo interno corsi ad hoc. Si va oltre il corso obbligatorio sulla sicurezza o quella manciata di ore che un capo o un referente dedica ai suoi collaboratori per spiegare un nuovo prodotto.
Parliamo, piuttosto, di una formazione progettata in ottica strategica e responsabile che permetta anche di allargare i confini. Di dare al dipendente la possibilità di andare in direzione dell’upskilling (avere nuove competenze) ma anche del reskilling (aggiornare quelle che ha già). E questo indipendentemente dal ruolo che ha. Formare, per esempio, i propri lavoratori dal punto di vista digitale, consente loro non solo di essere al passo con i tempi e di apprendere concetti nuovi, ma di poterli usare nel proprio lavoro quotidiano, anche in modo originale. Oltre ad avere persone che siano in grado, nel più breve tempo possibile, di soddisfare le esigenze di cambiamento di un mondo in cui bastano poche ore perché una tecnologia possa dirsi già superata.
Non è tanto e non solo il contenuto della formazione a far sì che un’impresa si comporti in modo responsabile, ma il dare la possibilità ai propri collaboratori di acquisire nuove forma mentis, di essere duttili, pronti ad affrontare le proprie sfide, acquisire quello che viene definito un mindset che servirà loro in ogni contesto. Oltre che ad aumentare il loro grado di occupabilità.
D’altro canto, avere forza lavoro qualificata è per l’attività aziendale fondamentale perché le permette di esplorare nuovi mercati, nuove attività, di crescere e competere
La formazione per aumentare il clima di fiducia interno e investire sul patrimonio umano
Se la conoscenza dunque tende a crescere quando è condivisa e applicata, le persone diventano fondamentali. La responsabilità dell’impresa si gioca, inoltre, sulla sua capacità di creare un clima di fiducia interno, di cui sicuramente si avvantaggia l’impresa con il miglioramento della produttività, ma anche i lavoratori. Se sono più felici nelle 8 ore che trascorrono in ufficio, lo saranno anche fuori e potranno svolgere più attività sociali e di relazione.
Viene sovvertito, così, il processo, da bottom-up a top-down: non è solo importante ciò che i dipendenti possono fare per un’azienda ma anche a cosa questa può fare per loro. Ecco perché bisogna pensare a un percorso di lifelong learning (formazione permanente) in cui ci si prenda cura delle persone, motivandole e andando oltre i classici benefit come l’auto aziendale o i buoni pasto. Facendo capire che fanno parte di un progetto più ampio di cui sono protagonisti fondamentali.