Effetto Ikea, performance management e dinamiche d’ingaggio
Si chiama effetto Ikea e spiega quanto possa essere importante (e motivante) svolgere attività sulle quali esercitiamo un controllo completo dall’inizio (dall’idea) alla fine (alla realizzazione). La paternità di questa teoria è del professor Dan Ariely, docente di psicologia ed economia comportamentale alla Duke University, il quale aveva in animo di dimostrare come mai alcuni lavori benché più faticosi e apparentemente antieconomici, risultassero invece soddisfacenti e determinassero un aumento della percezione di valore.
L’idea alla base dell’effetto Ikea si trova in una semplice considerazione: costruire un mobile crea un legame più profondo con quell’oggetto, molto più che con la merce semplicemente acquistata. L’azione di assemblarlo appaga perché riusciamo ad intervenire attivamente, ad avere visione degli sforzi in progress e a sviluppare una qualche relazione emotiva che non si esaurisce nella transazione monetaria.
In termini organizzativi, che l’impegno non sia frutto di considerazioni meramente economiche è un assioma ben noto, ma questa teoria dimostra anche qualcos’altro: che restituire ai collaboratori la possibilità di incidere sui processi e sui risultati del proprio operato può avere un impatto in termini di performance, responsabilità e innesco di dinamiche affettive superiore all’erogazione di benefit a pioggia o al venire costantemente indirizzati.
Nel delicato processo di ripristino (o creazione ex novo) del più proficuo rapporto azienda-persone, a valle delle trasformazioni socio-economiche in atto, la funzione HR gioca un ruolo importante nel favorire la diffusione di una cultura manageriale meno paternalistica e più imperniata sulla delega e la responsabilizzazione dei team.
Un’infrastruttura tecnologica evoluta è la conditio sine qua non per rendere concreta questa suggestione concettuale dato che non serve esclusivamente a risparmiare tempo, automatizzare alcuni processi o semplificare operazioni, ma si inserisce in un più ampio meta-messaggio culturale e organizzativo in linea con la filosofia dell’autodeterminazione professionale.
Il collaboratore può partecipare, condividere, reperire informazioni, dialogare, proporre, essere coinvolto e avere visione complessiva di un sistema nervoso di relazioni grazie alle quali prendere decisioni, risolvere problemi e, perchè no, divertirsi.