Tra settimana corta, lavoro ibrido e smart working: dove sta andando il mondo del lavoro oggi

30.03.2023 - Tempo di lettura: 5'
Tra settimana corta, lavoro ibrido e smart working: dove sta andando il mondo del lavoro oggi

Senso di responsabilità, capacità di sapersi auto-organizzare e allo stesso tempo di usare la tecnologia come fattore abilitante, obiettivi condivisi e raggiungibili, tempo da dedicare a sé stessi e alla propria formazione. Dimenticando il controllo costante del proprio operato, gli orari stringenti a cui tenere fede e il fatto che l’ufficio sia l’unico luogo in cui lavorare.

Quello che abbiamo appena descritto non è un mondo del lavoro ideale, ma quello che si sta provando a fare in molte aziende per cercare di stare al passo con i tempi. A seguito della pandemia da Covid-19, infatti, il lavoro è cambiato profondamente e determinati aspetti, accettati di buon grado in passato – come le canoniche 8 ore o la presenza esclusiva in ufficio – non possono più essere dati per scontati.

Certo, non è tutto oro quel che luccica; determinate decisioni prevedono un cambio di passo nella cultura aziendale, ma anche nella modalità dei lavoratori di interagire con i propri manager e con i propri colleghi.

Tra settimana corta, smart working, full remote, lavoro ibrido cerchiamo di capire in quale direzione sta andando il mondo del lavoro oggi e cosa aspettarsi nel prossimo futuro.

Settimana corta in Italia: a che punto siamo?

In Italia stiamo provando ad implementare la settimana corta, con esiti più o meno positivi. Si tratta in realtà di pochissime aziende, delle vere e proprie mosche bianche che trattano la riduzione dell’orario di lavoro come un esperimento. Anche se c’è chi ha già terminato la fase di prova e ha deciso di puntare sull’orario ridotto in modalità permanente.

Succede, ad esempio, in Carter & Benson, società di head hunting che fa parte di IMD International Search: 1.000 dipendenti in tutto il mondo a cui viene proposto di lavorare 8 ore in meno a settimana purché si raggiungano gli obiettivi previsti. Niente giorno fisso, ma la possibilità di spalmare queste 8 ore non lavorate in diversi giorni della settimana o di prenderle tutte insieme. Il tutto all’insegna della flessibilità e dell’accountability. Parola straniera, quest’ultima, che nasconde dietro di sé un mondo in cui al dipendente si riconosce la responsabilità di quello che fa e il suo essere in grado di autodeterminarsi. L’esperimento pare funzioni, anzi è diventato un elemento di attrattività potente per quest’azienda.

Tra le prime aziende italiane a puntare sul modello della settimana corta, chiamata anche “Light Friday” c’è TeamSystem che ne ha fatto uno dei capisaldi del progetto TeamSystem Next. Cosa significa in concreto? Che i dipendenti possono decidere autonomamente se aderire o meno al programma e possono organizzarsi scegliendo le “combinazioni” di lavoro che sono loro più congeniali. Il tutto all’insegna dell’autonomia e della flessibilità lavorativa. Oltre che della fiducia, come ha sottolineato Federico Leproux, CEO di TeamSystem: “Questa nuova filosofia di organizzazione del lavoro si basa innanzitutto sulla grande fiducia che riponiamo nelle nostre persone e sul profondo rispetto che nutriamo nei confronti del giusto bilanciamento tra vita professionale e vita lavorativa. Guardiamo al benessere delle persone come elemento imprescindibile per il successo di un’azienda e siamo convinti che TeamSystem Next rappresenti una base solida su cui costruire la crescita”. Non solo settimana corta, ma anche smart working flessibile: ogni dipendente può scegliere, infatti, come portare avanti il proprio lavoro fino all’80% dell’orario previsto.

Il lavoro organizzato in maniera rigida cede quindi il passo alla flessibilità per venire incontro alle esigenze di tutte le persone, nel modo in cui si trovano più a loro agio.

La “settimana corta” investe le aziende di tutti i settori, compreso quello alimentare; come nel caso di Mondelez International che, nella sua sede di Milano, ha deciso di dare ai lavoratori la possibilità di scegliere se spalmare le proprie ore lavorative su 4 o 5 giorni. Flessibilità che si riscontra anche nel fatto che il dipendente può scegliere se andare in ufficio ogni giorno o fare due giorni a settimana in smart working, oltre che nella pianificazione delle ferie: in linea con gli obiettivi aziendali e personali, infatti, ogni persona può scegliere quando farle senza ostacoli “dall’alto”.

Anche aziende più piccole stanno portando avanti da anni esperimenti “flessibili”: è il caso di Zupit, software house con base a Trento che ai suoi 30 dipendenti più che la settimana corta propone la giornata corta. In questo caso si lavora 8 ore di fila, dalle 8 alle 14, e il pomeriggio può essere dedicato a sé stessi. Una buona parte delle persone lavora da remoto, specie chi sta più lontano, poi c’è chi una o due volte alla settimana va in ufficio. Una modalità cui si sono abituati in linea di massima anche i clienti, che, salvo accordi ben specifici, sanno di poter avere il personale dell’azienda a disposizione solo in una parte della giornata.

In Italia, poi, a spostare il focus sulla settimana corta è stata Intesa Sanpaolo, prima banca a proporre questa nuova modalità lavorativa, anche se di fatto su base volontaria, alle sue duecento filiali. In questo caso si è deciso di passare da 40 ore settimanali a 36 distribuite però su 4 giorni, dal lunedì al giovedì per un totale di 9 ore a giornata.

I vantaggi della settimana corta

Mentre in Italia i segnali sono timidi, in paesi come la Gran Bretagna, la Spagna, il Belgio, il Giappone, solo per dirne alcuni, l’esperimento è molto più diffuso. E i vantaggi che si riconoscono nella riduzione degli orari di lavoro non sono pochi.

Ecco i principali.

Sapere di avere meno tempo ci rende più produttivi

Avere meno ore da passare alla scrivania vuol dire sfruttare al 100%il tempo in cui si è più vigili, attenti e curiosi. Restare al lavoro dopo le 18, infatti, è spesso controproducente: si è stanchi, sovraccarichi, sfiduciati e si va ha voglia di fare altro. Pertanto, la perdita in produttività, da questo punto di vista, non è considerevole, anzi tutt’altro. A dimostrarlo anche un esperimento fatto da Microsoft Japan, che, lasciando il venerdì libero ai propri dipendenti, ha visto aumentare la produttività del 40%.

Il tutto si spiega con una migliore capacità di concentrarsi, che aumenta quando si sa di avere meno tempo a disposizione. Passare troppe ore in un ufficio a lungo andare ridurrebbe la capacità di essere presenti, proattivi e brillanti; inoltre, avere un giorno in più da dedicare a sé stessi regala maggiore riposo e benessere a beneficio anche di manager e colleghi.

Spese aziendali ridotte

C’è poi per le aziende un tema di risparmio non indifferente. Un giorno in meno a settimana o comunque un numero minore delle ore che le persone trascorrono in ufficio si traducono in bollette meno costose e nella riduzione di tutte quelle spese vive con cui le imprese devono fare i conti: presenza di personale all’ingresso, addetti alle pulizie, addetti alla sicurezza e così via.

Riduzione del turnover e miglioramento della retention

Ma c’è dell’altro. Oltre che risparmiare sulle bollette, un tema attualmente importante visti i rincari che ci sono stati a fine 2022 e inizio 2023, si riduce sensibilmente il costo legato al turnover del personale e alla ricerca e selezione di nuove risorse da inserire. La settimana corta, infatti, non è solo uno strumento di attraction, ma è anche e soprattutto uno strumento di retention. Chi la prova, e ne vede i risultati tangibili, può davvero dirsi soddisfatto. E questo crea senso di affezione nei confronti dell’azienda, aumentando il senso di appartenenza e a cascata rafforzando la cultura aziendale. Valori come la crescita personale, la fiducia, la trasparenza non sono solo “strillati” sul sito internet o sui social, ma guidano davvero le azioni di ogni giorno.

 

Gli svantaggi della settimana corta

Non è una modalità adatta a tutte le aziende

La settimana corta non è però adatta a tutte le aziende. Le realtà molto piccole, in cui c’è poco personale e in cui ognuno ricopre più ruoli, potrebbero soffrire della mancanza di una risorsa per un’intera giornata e andare in affanno. Così come non è la soluzione ideale per chi si occupa di assistenza ai clienti o customer care: non avere il personale necessario per rispondere alle richieste dei clienti – e in tempo reale – potrebbe rivelarsi un autogol.

Stessa cosa può dirsi per quelle aziende che sono ancora troppo giovani, come le startup. Anche in questo caso, con un business da costruire totalmente, essere assenti per un giorno intero potrebbe diventare controproducente.

Può generare più stress

Nel caso di team che passano molto tempo in riunioni, avere a disposizione un giorno in meno a settimana potrebbe generare molto stress, poiché si pensa di avere poco tempo per portare a termine il lavoro. Questo comporta ansia, frustrazione e quella sensazione costante di non farcela. Pertanto, anziché migliorare la qualità di quello che si fa, per questi team significherebbe avere meno tempo per attività più operative e strategiche da portare avanti al di fuori delle riunioni.

Smart working, full remote o lavoro ibrido: cosa scegliere

Smart working, full remote, lavoro ibrido: il modo di lavorare non è più lo stesso. Non si gioca più solo sulla dimensione temporale, part-time (verticale/orizzontale) e full-time, ma molto anche sulla dimensione dello spazio: è da dove si lavora che può fare davvero la differenza.

Essere al 100% in remote working fa sì, infatti, che possano lavorare per un’azienda persone che di fatto vivono molto lontane dalla sede fisica dell’ufficio. Questo influisce ovviamente sul senso di appartenenza e sul coinvolgimento dei dipendenti: chi non va quasi mai in ufficio continua a essere una risorsa importante, ma va coinvolta in maniera molto più attiva rispetto a chi vive la quotidianità in presenza.

Proximity bias e solitudine non aiutano il lavoro da remoto

Non è un caso che tra i trend HR del 2023 cui prestare particolare attenzione ci sia il proximity bias, ossia quella tendenza da parte di team HR e manager di “favorire” inconsapevolmente le persone che sono vicine e fisicamente presenti, per quanto riguarda sia le opportunità di carriera sia quelle relative alla formazione.

Proprio per questo, alcuni accordi portati avanti da aziende e dipendenti hanno previsto la possibilità di proseguire le attività formative in modalità e-learning: è il caso di aziende come Gucci, Louis Vuitton, Nuovo Pignone e Italgas.

Inoltre, chi lavora in modalità totalmente da remoto rischia non solo di lavorare di più, perdendosi la dimensione sociale dell’azienda, ma anche di attraversare momenti non indifferenti di solitudine. L’isolamento, infatti, è il rovescio della medaglia di un lavoro che, svolgendosi nello spazio fisico deciso dal lavoratore (solitamente la propria abitazione), rischia di non essere davvero così “libero”. Chi lavora da remoto può organizzarsi più facilmente per andare a prendere i figli a scuola, fare la spesa negli orari meno affollati, andare in palestra al mattino, ma, se non riesce a stabilire a priori dei momenti da dedicare a sé stesso, rischia di lavorare e basta.

Perché il modello ibrido può funzionare (anche se non per tutti)

La stessa difficoltà può essere riscontrata anche da chi lavora in smart working, sebbene in questo caso a guidare la tipologia di lavoro dovrebbe essere il fatto di poterlo svolgere da dove si vuole, organizzandosi per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Questa tipologia di lavoro può andare indubbiamente bene per chi è in grado di auto-organizzarsi e riesce a lavorare non solo da casa, ma anche in coworking o altri spazi all’interno della città.

E, soprattutto, può funzionare se prevede dei momenti in cui si torna in sede. Il modello ibrido, che va per la maggiore al momento, viene incontro proprio alla ritrovata voglia di stare con le persone, incontrare i colleghi e condividere momenti con loro, senza però sentirsi prigionieri dell’ufficio. Avere la possibilità di scegliere i giorni della settimana in cui andare in sede, magari per incontrare gli altri membri del team, può essere una modalità molto valida per tanti lavoratori di oggi.

Di contro, però, può essere non adatta ai chi vive in case molto piccole (quindi senza uno spazio dedicato per lavorare) o ancora con la famiglia e ha quindi l’esigenza fisica di andare a lavorare in ufficio.

Non esiste un modello unico valido per tutte le imprese e tutti i lavoratori

Quello che emerge è che non esiste un modello unico che vada bene per tutte le imprese né tantomeno per tutte le persone. E questo, oggi che abbiamo la possibilità di sperimentare una pluralità di modi di lavorare, richiede sicuramente un’ulteriore riflessione, che vada oltre i trend del momento.

Fare un’analisi di tutte le persone che lavorano in azienda e delle loro “preferenze”, cercando di adattare la modalità di lavoro al loro modo di essere e di relazionarsi al team, può essere una strada corretta anche se difficilmente percorribile.

Ma il futuro del lavoro è e sarà essenzialmente questo: rendere le persone davvero consapevoli delle opportunità che hanno e dare loro la possibilità di scegliere quello che le fa stare meglio, anche “tornando indietro” se la scelta fatta fa a “pugni” con la loro produttività e il loro benessere.