Differenze generazionali in azienda: come gestirle?
Questo articolo nasce da uno scambio di opinioni con la professoressa Gabriella Bagnato dell’Università Bocconi
Nelle aziende, soprattutto quelle di medio-grandi dimensioni, i collaboratori presenti hanno età diverse, esperienze diverse, diversi approcci al lavoro. Ogni generazione ha precise caratteristiche che la distingue, anche in modo netto, dalle altre: i baby boomers dai 50 fino a 68 anni d’età , la generazione X, quelli nati tra il 1965 e il 1980, la generazione Y o Millennials nati dagli anni 80 fino al 2000.
Per la prima volta, quindi, nelle imprese si trovano ad operare persone che appartengono a generazioni che si contraddistinguono per concetti del lavoro e della relazione lavoro/vita privata molto diversi, essendo ingaggiati da temi molto eterogenei. Ad esempio, i più giovani hanno una visione diversa dell’autorità che emerge dal rapporto con i genitori e con la scuola: fanno fatica a riconoscere le differenze di potere, non comprendono il senso del modello verticale e gerarchico delle strutture aziendali, il che li porta in certi casi a non sapersi rapportare in modo funzionale con esse.
Queste diversità impongono di comprendere le specificità , di formare alla valorizzazione delle differenze, trovando poi modalità di gestione che siano in grado di far leverage su ciò che ingaggia le persone che appartengono a diverse generazioni.
Anche le politiche della gestione del personale devono, perciò, fare riferimento a principi ormai consolidati di marketing, determinando i diversi target di riferimento, cioè cercando di segmentare il cliente interno per singole specificità e caratteristiche. Il problema è integrare tutte queste conoscenze nell’ambito della struttura organizzativa dell’azienda. Il manager ha il compito non semplice di individuare e poi gestire attraverso le sue capacità relazionali le risorse di cui dispone, tenendo conto delle differenze in tema di bisogni, attese, aspirazioni di ognuno di loro, armonizzando le diverse visioni ideali in modo che possano funzionalmente trovare la collocazione più adeguata in ambito organizzativo.
Da non sottovalutare anche il valore del brand dell’impresa, cioè la necessità di fare leva, tra le altre cose, sulla reputazione e sulla identità dell’impresa, come elemento coagulante e fondamentale, nel quale i collaboratori possono riconoscersi, al di là delle differenze ideologiche di ognuno e che, se adeguatamente utilizzato, è in grado di attirare e trattenere i talenti.
In sintesi, chi opera nelle HR, di fronte alle differenze generazionali, deve svolgere un’operazione culturale piuttosto sofisticata, cercando di investire sul valore del brand dell’impresa perché si trova a un livello più alto rispetto ad altri aspetti, come le qualità strumentali del lavoro, la retribuzione, il tipo di contratto, le mansioni, le prospettive di carriera, ecc. e cercare di cogliere nel modo più attento possibile la coerenza tra valori e norme dell’organizzazione e valori e ideali delle persone.