Come le aziende possono garantire davvero la Diversity, Equity & Inclusion?
Diversity, Equity & Inclusion (DE&I) stanno diventando sempre più una priorità per le aziende italiane e ciò è da attribuire a fattori molto diversi tra loro.
Oltre a un’attenzione sempre più diffusa verso tali tematiche, varie ricerche dimostrano che implementare una serie di programmi per raggiungere un bacino di persone provenienti da mondi differenti e creare una cultura aziendale inclusiva è anche “redditizio”.
Infatti, secondo lo studio condotto da GEA e Harvard Business Review Italia, con il contributo di GC Governance Consulting, Focus Management, Fondazione Diversity e Valore D, una cultura aziendale inclusiva contribuisce ad aumentare la produttività a lungo termine, addirittura del 30%. Ciò dimostra che la DE&I non è solo una “tendenza” o meglio dire un “must have”, ma un elemento cruciale per imprese che vogliano investire sulle proprie risorse e allo stesso tempo posizionarsi a livello di brand e di mercato.
Tuttavia, come emerge dalla ricerca, tale consapevolezza non è, in realtà, così diffusa tra i direttori HR italiani. Solo il 50% di loro, infatti, crede che la Diversity, Equity & Inclusion abbia un impatto positivo sul business, mentre l’84% pensa che si tratti solo di scelte etiche.
Ma al di là delle convinzioni degli HR e dei motivi che possono portare un’azienda a favorire politiche in tal senso, quali sono le strategie e le azioni che si possono mettere in campo?
Vediamone alcune in questo articolo.
Lavorare sui bias e cercare di rimuoverli
Bias, ammettiamolo, è una parola di cui fino a qualche anno fa, a meno che non fossimo laureati in Psicologia o Sociologia, ignoravamo un po’ tutti l’esistenza. Eppure, i pregiudizi inconsci – questo di fatto sono i bias – sono sempre esistiti, solo che oggi abbiamo una maggiore percezione di quanto possano essere deleteri, in particolare nel mondo delle aziende.
Lavorare per eliminarli è sicuramente importante, ma prima di agire in tal senso bisogna “educare ai bias”. Cosa significa? Che le aziende potrebbero pensare di organizzare, con l’aiuto di esperti, ma anche degli HR stessi, delle iniziative di sensibilizzazione per diffondere consapevolezza in merito ai bias.
Una di queste può essere, per esempio, prevedere durante i kick-off di inizio anno dei momenti dedicati proprio alla scoperta dei pregiudizi. Magari invitando un professionista che aiuti a riconoscerli; o prevedendo delle attività di gamification che aiutino i dipendenti a capire come individuarli e smascherarli.
Altrettanto interessante è lavorare sui contenuti che un’azienda diffonde, per esempio tramite il suo blog o la intranet, in modo che sia le persone interne che quelle esterne possano approfondire determinati argomenti legati ai bias.
Un’altra iniziativa può essere quella di creare dei video informativi a uso interno in cui si spiega cos’è un bias e quali conseguenze può avere.
Quelli appena citati sono solo esempi che hanno tutti un unico obiettivo: incoraggiare le persone a dedicare del tempo all’auto-riflessione e a riconoscere i casi in cui sono vittime di bias o sono loro stesse ad avere dei pregiudizi in modo inconsapevole.
Altrettanto importante è formare le risorse che si occupano di ricerca e selezione del personale, per garantire procedure di recruiting il più oggettive possibile. Utilizzare un software ATS, ad esempio, può far sì che i candidati vengano valutati esclusivamente sulla base delle competenze e delle esperienze maturate.
Può rivelarsi efficace affidarsi al blind recruiting, una pratica che prevede la creazione di copie anonime dei CV, nascondendo così i dati sensibili dei candidati quali nome, cognome, genere, nazionalità. Ciò permetterebbe di valutare una persona per quello che sa davvero fare, anziché rischiare di essere influenzati dai pregiudizi.
Dare spazio a festività religiose e a tradizioni di altre “culture”
Ognuno di noi oltre a essere contraddistinto dai propri pensieri, dalle proprie azioni, dalle proprie conoscenze, è forgiato anche dal modo in cui è cresciuto, dalle feste che onora, dalle tradizioni che porta avanti.
Favorire l’inclusività sul lavoro vuol dire anche dare spazio ad altri credo e ad altri costumi. E questo non solo sulla carta: per esempio, se ci sono più persone che appartengono alla stessa nazione, si può chiedere di condividere le usanze del loro Paese, magari in una pausa pranzo diversa dal solito in cui ognuno porta delle pietanze tradizionali.
Iniziative simili possono, indubbiamente, favorire il dialogo intorno a queste tematiche e contribuire, in modo molto concreto, a creare un ambiente più positivo e inclusivo che abbatta le barriere culturali e si basi sul rispetto reciproco.
È fondamentale che i dipendenti si sentano liberi e a proprio agio nel condividere usanze e costumi differenti senza avere il timore di essere giudicati.
Il poter essere sé stessi è un vantaggio anche per l’azienda: una maggiore collaborazione e una soddisfazione diffusa influiscono positivamente sulla produttività. Senza dimenticare che background diversi favoriscono lo scambio di idee creative e l’innovazione.
A livello di team, i responsabili possono annotare sui calendari condivisi le principali festività culturali e religiose, in modo che tutti i membri possano tenerne conto quando programmano scadenze e riunioni.
Avere chiare policy di Diversity & Inclusion
Anche se l’obbligo di legge riguarda più che altro le assunzioni (soprattutto per le persone con disabilità e per un certo tipo di aziende), avere delle policy legate alla DE&I può essere un importante passo in avanti per garantire la diversità e l’inclusione.
Si tratta di policy che hanno lo scopo di informare i dipendenti su quali comportamenti sono o non sono accettabili e su come gestire eventuali problematiche.
Condividere tali policy è essenziale non solo perché chiarisce ai neoassunti qual è la direzione adottata nei confronti delle pari opportunità, ma anche perché ha un impatto diretto sui dipendenti storici, che possono valutare l’impegno dell’azienda in maniera positiva. Inoltre, condividere tali policy influisce direttamente sulla cultura aziendale, perché contribuisce a diffondere in modo più concreto convinzioni e valori condivisi.
La cultura aziendale è, infatti, spesso implicita e si sviluppa nel tempo, a partire da quello che le persone fanno e ciò in cui credono. Una policy che definisce i comportamenti da osservare dal punto di vista della DE&I sicuramente aiuta a esplicitare la cultura aziendale sia nei confronti dei dipendenti sia di partner e clienti.
Favorire la nascita degli ERG
La parola ERG sta per “Employee Resource Groups”, vale a dire delle community interne di lavoratori che condividono identità e interessi comuni. Community che nascono dal basso, con il supporto dell’azienda, e che permettono alle persone di sostenersi tra di loro e creare degli ambienti inclusivi, spesso digitali, ma non solo, in cui c’è un maggiore scambio.
Tra gli ERG che possiamo citare ci sono quelli nati in Barilla, che li ha sperimentati già a partire dal 2015. A oggi, come si può leggere sul loro sito, esistono 17 gruppi di cui fanno parte oltre 1.400 persone in tutto il mondo.
Tra le tematiche portate avanti ci sono quelle legate al mondo LGBTQ+ e, nel gruppo canadese, per esempio, agli aspetti culturali delle immigrazioni nel Paese nordamericano.
Gli ERG funzionano in ottica DE&I perché promuovono l’inclusione in diversi modi, aiutando i dipendenti a sentirsi parte di una comunità grazie a connessioni continue che contrastano quella sensazione di “unicità” che molte volte è sinonimo di solitudine.
Lato risorse umane, gli ERG contribuiscono ad attrarre talenti. Un ERG, infatti, può diventare un efficace esempio di best practice da condividere all’esterno, a testimonianza di una cultura aziendale inclusiva basata su valori condivisi.
Gli ERG, inoltre, si fanno promotori di azioni etiche come la partecipazione dei dipendenti a gare benefiche, iniziative di solidarietà in determinati quartieri e tanto altro ancora.
Un modo pratico e concreto per far sì che la diversità sia davvero un valore.