Come l’Agile Marketing oggi può aiutare le aziende a cambiare e a continuare a farlo. Intervista a Deborah Ghisolfi

25.07.2022 - Tempo di lettura: 5'
Come l’Agile Marketing oggi può aiutare le aziende a cambiare e a continuare a farlo. Intervista a Deborah Ghisolfi

Che il mondo sia profondamente cambiato è qualcosa che ci diciamo tutti dal 2020 e in effetti è così: parole come lavoro ibrido, smart working e Great Resignation sono entrate ormai a pieno nel nostro vocabolario. Ma, preso atto di questo cambiamento, cosa possono fare le aziende e i loro manager per dare vita a dei modelli di business che siano davvero diversi dal passato? In che modo possono mettersi in gioco per andare davvero avanti? Ed essere delle aziende agili oggi cosa significa?

A queste e altre domande risponde in questa intervista Deborah Ghisolfi, Agile Marketing Coach e autrice, tra l’altro, insieme a Lorena Ignazzi, del libro edito da Maggioli “Agile Marketing – La chiave per la Digital Transformation e la crescita del business”.
Ecco cosa ci ha raccontato, partendo dall’esperienza concreta che vive ogni giorno insieme ad aziende di ogni dimensione.

Oggi si parla sempre più di business agility: proviamo a spiegare di cosa si tratta e cosa devono fare le aziende per acquisirla o svilupparla?

“Innanzitutto, c’è da dire che la business agility riguarda tutte le aziende, di qualsiasi dimensione e qualsiasi settore. È infatti importante comprendere che la business agility è la capacità che tutte le imprese hanno di trasformare i loro modelli di business, investire sulle persone e far sì che siano proprie le persone che lavorano nell’azienda a portare le aziende verso il successo. Con la business agility l’azienda deve sentirsi pronta a un cambiamento culturale perché deve rispondere non solo in modo efficace, ma anche estremamente rapido, alle sfide del contesto attuale.

Altra cosa importante: questa esigenza non deve essere sentita solo dal basso, ossia da chi svolge un’attività più operativa, ma anche dai manager. Deve essere quindi una capacità condivisa che si acquisisce nel tempo e permette di restare in modo sostenibile in un mercato che è in continua evoluzione. Un mercato che, lo abbiamo visto in questi ultimi due anni, è complesso e per il quale non si riesce più a fare delle predizioni, ma bisogna affidarsi all’empirismo”.

Ma è stata la pandemia a farci scoprire che niente può essere cristallizzato nel tempo e che tutto è imprevedibile?

“Sapevamo anche prima che il nostro è un mondo complesso, ma non avevamo mai vissuto uno scossone così forte come quello generato dalla pandemia. Prima pensavamo che per fronteggiare la complessità bastasse essere veloci nel dare risposte ai nostri clienti. Bisogna invece considerare che oggi, a fronte di determinati input, si possono avere delle reazioni diverse che variano da caso a caso, da clienti a clienti. Dobbiamo inoltre ricordare che le aziende sono fatte di persone e che investire su una formazione solo fine a sé stessa, senza considerare ogni aspetto di questo mondo complesso, le ha portate a sentirsi ingessate”.

Oggi si parla sempre più di Agilità e dell’importanza di fare emergere la consapevolezza e le basi comuni di una mentalità agile all’interno delle organizzazioni. Che, poi, diventa un fattore chiave per una trasformazione reale e di successo. Qual è la differenza tra fare Agile ed essere Agile?

“Fare Agile vuol dire scegliere, a seconda della moda del momento, un framework – che sia Scrum, Kanban ecc. – e decidere di adottarlo insieme ad altri principi e tecniche della metodologia. In questo modo si pensa di poter padroneggiare la cultura dell’agilità e che sostanzialmente basti questo per farlo.

Essere Agile, invece, è tutto il contrario: significa fare propri, sia a livello personale che di team e di organizzazione, l’adattabilità e la risposta al cambiamento. Vuol dire avere una mentalità che supporta la sperimentazione e il miglioramento continuo.

Per capirci ancora meglio: il classico stand-up meeting (breve riunione in piedi, cuore della metodologia Agile, ndr) da manuale dovrebbe durare 15 minuti ed essere un momento in cui le persone raccontano cosa hanno fatto il giorno prima e cosa pensano di fare quel giorno. Mentre aggiungere quanto sono confidente di portare avanti quello che ho detto può portare a fare un’introspezione su sé stessi e sulle proprie capacità; inoltre in questo modo i miei colleghi sono a conoscenza della mia situazione e sanno come potere aiutarmi. Così facendo, si può scoprire che un collega deve fare delle attività che possono essere ‘vicine’ alle mie e può riprogrammare la sua agenda delle attività. Se invece si sciorinano solo le cose fatte e da fare diventa un confessionale.

Le aziende che vogliono fare Agile partono da lì perché c’è uno schema da seguire, la cosa difficile è invece capire perché devo fare quella cosa, cambiare attitudine. Quando lo schema non sta in piedi? Quando ci si limita al racconto anziché far propria quella mentalità che cambia le cose. Altrimenti finisce che le aziende si somigliano un po’ tutte.

Di recente, confrontandomi con un mio collega, mi ha fatto osservare come le imprese oggi si portino dietro un retaggio vecchio, un modello distruttivo. Essere Agili vuol dire agire in maniera differente”.

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C’è un momento in cui questa trasformazione e la trasformazione digitale nello specifico hanno una loro fine?

“Io sono una ex IT manager, ho visto tante fasi; quando ho iniziato non esisteva neanche il mondo cloud, ecco perché dal mio punto di vista la trasformazione digitale è continua e non terminerà mai. Il tema vero è come la vivono le aziende, come la portano avanti?

Oggi abbiamo fatto diversi passi in avanti: invece che fare le cose manualmente ci affidiamo sempre di più al computer, abbiamo sostituito gli archivi cartacei con quelli digitali, etc. Sono solo degli esempi di digitalizzazione, ma ciò che osservo è che manca una reale integrazione di processi e persone.
Il CRM (Customer Relationship Management, ossia strategia per la gestione di tutti i rapporti e le interazioni di un’azienda con i clienti, ndr) non serve solo all’area commerciale o marketing, ma è utile anche al customer care per risolvere varie tipologie di problematiche. Per capire, per esempio, quali errori tecnici magari stanno minando la buona riuscita del prodotto. Ancora: proporrei a tutte le persone delle aziende di usare alcuni software e maneggiare dei dati perché ognuno può contribuire per il suo pezzetto. Ciò che sto portando avanti con la mia attività di Agile Marketing Coach è proprio questo: far capire che il marketing è troppo importante per essere lasciato al marketing. Ognuno di noi nell’azienda e fuori sta facendo marketing perché il marketing sono le relazioni. Anche chi emette fatture e fa recupero crediti sta facendo marketing”.

In questo come si colloca l’Agile Marketing? Quali sono le caratteristiche? I suoi valori e principi?

“Uno dei valori più importanti è che l’Agile Marketing mira alla creazione di valore per il cliente, come abbiamo detto prima. Vuol dire costruire nel tempo e pensare di non avere raggiunto mai una piena consapevolezza. Il marketing Agile ha la volontà di creare valore per chi ascolta o guarda quel prodotto o servizio, per chi deve risolvere un problema. Creare valore è più importante del puntare su attività promozionali e basta. Questo è tipico del marketing tradizionale che urla a tutti quanto è bello quel prodotto.

Oggi serve un coinvolgimento delle persone, un ascolto attivo. Ancora: è proprio dell’Agile Marketing il fatto che la strategia non è stabile e fissa nel tempo. Nel senso che non puoi confezionarla a ottobre, a dicembre chiedere il budget e portarla avanti nei mesi successivi esattamente come l’avevi definita mesi prima. L’Agile Marketing ci indica che la pianificazione ha senso solo se è pronta a cambiare in base a quello che è successo all’esterno e all’interno dell’azienda ma anche che sta succedendo in quel momento.
Per capirci meglio: all’inizio della pandemia alcune aziende hanno messo in cassa integrazione le persone del marketing. Una scelta folle perché invece quello era l’unico modo per continuare a mantenere la relazione con i clienti. Anzi, era il momento giusto per creare degli strumenti nuovi, in quel frangente era importante la collaborazione delle vendite, la presenza dell’AD etc.
Altro aspetto tipico dell’Agile Marketing è che tutte le persone sono uguali, vengono trattate come tali perché ognuno può portare un punto di vista differente”.

E come l’Agile Marketing può coinvolgere oggi i dipendenti?

“Di Employer branding e Talent Acquisition oggi si sente tanto parlare, ma poi nel concreto come si fa? Bisogna innanzitutto considerare l’Employer Branding come una branca del marketing e quest’ultimo deve lavorare insieme all’HR per capire cosa davvero vogliono le persone. Ancora oggi si trovano pochi People & Culture Manager e si pensa che le HR gestiscano le paghe. Ma aumentare lo stipendio, solo per fare qualche esempio, è un benefit che di primo acchito fa piacere, ma che alla lunga il dipendente si scorda. Ecco perché, per coinvolgere le persone e attrarle, bisogna capire davvero cosa desiderano, comprendere i loro bisogni”.

Nel libro si parla molto della figura dell’Agile Coach come il professionista che aiuta le organizzazioni a sviluppare una metodologia Agile e a essere Agili, perché questa figura è importante?

“Perché l’Agile coach è un agevolatore, una persona che facilita i processi, che aiuta nel miglioramento e nella creazione di nuove soluzioni. Inoltre, va all’interno di alcune dinamiche tipiche dei conflitti aziendali. Pertanto, non deve essere vista come una figura ingombrante, ma tutte le organizzazioni dovrebbero averla a patto che il suo ruolo vada di pari passo con la volontà di sposare una cultura organizzativa che dia valore alle persone”.

Come dicevamo: essere Agile anziché fare Agile. In fondo la “scommessa” per le imprese oggi è tutta lì.

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