Sostenibilità: SDGs e rendicontazione
Perché orientarsi verso la sostenibilità sia da considerare una grande opportunità invece che, come spesso sento dire, l’ennesima “incombenza a cui piegarsi” (magari peraltro mentendo o inventando informazioni, ma di questo parleremo più avanti).
Nell’articolo precedente ho riassunto le principali tappe che hanno portato alla definizione di sostenibilità indicando che cosa si intende, compiutamente, quando se ne parla.
Nelle righe seguenti vorrei fare un altro passo avanti e spiegare perché orientarsi verso la sostenibilità sia da considerare una grande opportunità invece che, come spesso sento dire, l’ennesima “incombenza a cui piegarsi” (magari peraltro mentendo o inventando informazioni, ma di questo parleremo più avanti).
SDG: la strada per la sostenibilità
Eravamo arrivati a quando – e precisamente il 25 settembre 2015- i 193 Stati dell’Assemblea Generale dell’ONU adottano la c.d. Agenda 2030 dal titolo “Trasformare il nostro mondo”. Un progetto tanto ambizioso quanto ormai improcrastinabile.
All’interno dell’Agenda vengono identificati 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – a cui ci si riferisce con l’acronimo SDGs – Sustainable Development Goals – declinati in ulteriori 169 target per delineare in maggior dettaglio che cosa si sono impegnati a conseguire i 193 Stati che hanno sottoscritto questa sfida mondiale.
Proprio perchè si tratta di una sfida mondiale, risulta necessario anche identificare degli indicatori condivisi per monitorare e valutare i progressi fatti verso la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda: a questo scopo viene costituito l’Inter Agency Expert Group on SDGs (UN-IAEG-SDGs) che nel marzo 2016 propone una prima lista di 241 indicatori.
In Italia è l’ISTAT ad occuparsene pubblicando periodicamente dal 2018 il “Rapporto SDGs. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia”, con cui, tra le altre cose, evidenzia il posizionamento dell’Italia lungo la via dello sviluppo sostenibile.
Di questo discorso sono due i passaggi che mi interessa sottolineare:
- che si tratta di una sfida mondiale e quindi che coinvolge tutte le persone sul nostro pianeta, sia a livello individuale, sia a livello di organizzazioni;
- che è necessario rendicontarla utilizzando dei sistemi condivisi di calcolo per evidenti questioni di uniformità, ossia per poter rendere confrontabili i risultati raggiunti non solo da un anno con l’altro ma anche da realtà diverse tra loro.
Così come a livello Paese vengono tracciati i progressi realizzati, altrettanto viene chiesto alle imprese: in questa direzione, già nel 2014, il Consiglio Europeo aveva adottato la Direttiva 95/2014 -c.d. Direttiva Barnier- sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario, recepita poi il 30 dicembre 2016 dall’ordinamento italiano attraverso il Decreto legislativo n. 254.
Le imprese interessate dal Decreto non sono tutte indistintamente ma solo gli enti di interesse pubblico (banche, assicurazioni, riassicurazioni) e le società che emettono titoli di debito in borsa (es. azioni, obbligazioni), purchè abbiano:
- almeno 500 dipendenti e
- un patrimonio maggiore di 20 milioni o ricavi maggiori di 40 milioni.
Non tragga in inganno però questa limitazione: il Decreto identifica le imprese obbligate ma sono molte di più quelle che spontaneamente producono un report di sostenibilità (e sulle ragioni per cui ha senso farlo torneremo nei prossimi articoli).
Peraltro, sulla scia del Green Deal dell’UE e dell’ambiziosa strategia della finanza sostenibile, la Commissione europea ha adottato il 21 aprile 2021 la proposta di direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese (Corporate Sustainability Reporting Directive “CSRD”), che rivedrà ed estenderà i requisiti introdotti dalla direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (Non-Financial Reporting Directive “NFRD”) ampliando notevolmente il numero delle imprese obbligate, fino a ricomprendere nel novero anche quelle di piccole e medie dimensioni.
Come si fa un bilancio di sostenibilità
Così come esistono i principi contabili da utilizzare per redigere il bilancio d’esercizio, altrettanto esistono degli standard a cui riferirsi per poter produrre i Bilanci di sostenibilità: tra quelli più utilizzati a livello globale vi sono i GRI Standards, un set di indicatori che consente ad un’organizzazione, quale che sia la sua tipologia o dimensione, di fornire informazioni sul proprio contributo positivo o negativo allo sviluppo sostenibile rendicontando così i propri impatti economici, ambientali e sociali.
Applicare questi standard -o in alternativa anche altri meno utilizzati- significa “mettersi in viaggio”, ossia riflettere su una serie di tematiche che le imprese – e tantomeno gli studi professionali – non sono troppo avvezze ad affrontare o che comunque non risultano codificate in modo chiaro e condiviso né all’interno né all’esterno.
Rendicontare la sostenibilità, infatti, significa abbracciare l’imperativo della trasparenza … innanzitutto con se stessi.
Prima ancora di affannarsi a ricercare il dato, che è l’ultimo dei problemi per così dire, c’è infatti un percorso ben preciso da impostare che passa per una profonda riflessione sulla propria identità, sul “purpose” per utilizzare un termine che oggi si sente sempre più spesso, ossia sulla propria ragion d’essere, sul ruolo che si intende avere nell’evoluzione della società, sul modo in cui l’organizzazione stessa assiste e si confronta con persone, altre realtà e la società tutta nel raccogliere e portare avanti le sfide per la sostenibilità, in linea con la filosofia degli SDGs 2030.