Gender gap: donne e professione legale
Una ricerca condotta dal Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Bolzano, analizza i principali dati che generano disparità di genere, che portano all’abbandono della carriera
Ancora una volta si parla di disparità. Ancora una volta le donne restano un passo indietro. Ancora una volta i numeri evidenziano il divario di genere. E non bastano le iniziative. Non basta la qualità e lo spessore delle professioniste. Non bastano le norme. Non bastano gli articoli, le inchieste e le ricerche. Non bastano, no! Ma fino a quando questo divario non sarà colmato, bisognerà ancora e ancora e ancora parlarne. Perché non è solo il femminicidio ad ucciderci (in Italia ogni due giorni (circa) viene uccisa una donna) ma è anche questo dislivello invalicabile, fino ad oggi, che ogni giorno pone le donne professioniste davanti a continue e ripide salite, all’accettazione di compromessi, di soprusi, all’accusa continua di essere meno.
La ricerca
Secondo i risultati della ricerca condotta dal Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Bolzano, la scorsa primavera, e realizzata dalle dottoresse Anna Ress e Letizia Caporusso per il centro studi interdisciplinari di genere dell’Università di Trento, il gender pay gap penalizza le donne anche nell’avvocatura, allargando ancora di più la forbice salariale e avendo come diretta conseguenza un pesante impatto sulle pensioni maturate, che comporta, in alcuni casi, addirittura, il ritiro dalla professione.
Secondo i dati raccolti non è sufficiente il significativo investimento delle giovani donne negli studi di matrice giuridica, (nel 2023 parliamo infatti del 62,5% dei laureati, dati Almalaurea), che non riescono a colmare gli ampi divari di genere nella pratica della professione forense.
Disparità, che in molti casi, portano all’abbandono della carriera, contribuendo a limitare la percentuale di iscritte all’ordine degli avvocati al 40,5%, contro il 59,5% registrato dai colleghi uomini, evidenziando fenomeni di segregazione verticale e orizzontale, oltre alla disparità retributiva e di opportunità.
I numeri contro
Ma entriamo nello specifico: le donne fanno registrare una netta predominanza nei ruoli di praticanti (19% contro il 10,8% degli uomini) e collaboratrici (30,7% contro 20,9%).
Mentre, al contrario, agli uomini spettano i ruoli apicali, come titolari di studio monopersonale o partner (31,6% degli uomini contro il 22,4% delle donne).
Un dato che evidenzia come le avvocate incontrino maggiori difficoltà a raggiungere posizioni di leadership, nonostante, come abbiamo visto, il numero di laureate e iscritte alla professione sia in proporzione maggiore.
La segregazione orizzontale, citata prima, sottolinea come le donne abbiamo, più degli uomini, a che fare con una clientela privata (37,4% contro il 24,1%) anziché con imprese o pubblica amministrazione, oltre a doversi occupare di assistenze molto meno remunerative, come quelle relative al diritto di famiglia (45,6% per le avvocate e 36,8% per gli avvocati), anziché del più redditizio diritto societario (11,7% e 27,8%).
Il reddito e l’addio
Entriamo nel merito del quantum, affrontato il capitolo remunerazione, la ricerca trentina parla di un divario di genere considerevole.
Soltanto il 13,1% delle donne, tra i professionisti coinvolti nell’indagine, dichiara un reddito superiore a 85.000 euro annui, contro il 20,5% degli uomini; e ancora, un’avvocata su quattro guadagna meno di 15.000 euro annui e nel complesso le avvocate in Trentino-Alto Adige percepiscono in media 42.000 euro all’anno, contro gli 85.000 euro degli avvocati, a riprova di una persistente disparità. E a chiosa dell’inchiesta il dato che ancora oggi fa più male è quello del dover rinunciare.
La ricerca conferma, ancora una volta, come la figura femminile sia spesso vincolata a una maggiore dedizione alla cura familiare, che inevitabilmente, e vista la totale assenza di supporto alle donne che lavorano da parte della società, influenza negativamente l’impegno lavorativo, il fatturato e le opportunità di carriera. Un fenomeno che decreta il più alto rischio di abbandono: il 24,6% delle avvocate prende in considerazione l’uscita dalla professione, contro il 10,1% degli uomini. Le donne segnalano quindi difficoltà maggiori nella conciliazione tra lavoro e famiglia, ma anche nell’acquisizione della clientela e nella gestione delle discriminazioni di genere.
Un passo alla volta colmiamo il gap
Lo scorso 12 novembre, la rivista Mag by Legalcommunity, che si occupa proprio di mercato legale, che di consueto in questo periodo dell’anno pubblica un elenco con i nomi e i profili dei 100 avvocati più quotati sul mercato, ha scelto, coraggiosamente e per la prima volta nella storia, di “escludere” le figure maschili dedicando la lista alle sole avvocate annunciando: “MAG ha deciso di compiere un gesto politico e concentrare la propria attenzione esclusivamente sulla porzione femminile della categoria, per scuotere l’attenzione di tutti, inclusa la propria, e dimostrare che sono tantissime le professioniste che con il loro lavoro e il loro impegno realizzano cose straordinarie in questo settore. Non lo fanno da adesso. Sono lì da anni. Ma non sempre riescono a farsi largo, a essere adeguatamente visibili, in un comparto che tradizionalmente indossa giacca e cravatta”.
Un gesto dirompente, un segnale che le cose devono cambiare, ma permettetemi di aggiungere che finché saranno necessarie azioni come queste, saranno il segnale che il gender gap è ancora uno squarcio nella nostra società troppo ampio che tutti dobbiamo impegnarci a sanare il prima possibile.