Gender pay gap e sostenibilità

07.10.2024 - Tempo di lettura: 1'
Gender pay gap e sostenibilità

“Noi siamo gli ultimi per occupazione femminile, per fecondità, ma la Costituzione italiana tutela la parità di condizione. Io mi domando: ma la gente che paga meno le donne degli uomini sa che sta andando contro la Costituzione italiana?”

È quello che, durante una recente intervista, l’ex Governatore Mario Draghi ha chiesto alla platea sottolineando un concetto fondamentale che dovrebbe essere ovvio ma che, purtroppo, suona ancora come una sfida da affrontare: pagare le donne meno degli uomini non è solo ingiusto, ma è una violazione della Costituzione.

Questa affermazione, in apparenza semplice, apre a una riflessione profonda sulle disuguaglianze di genere e sul legame con la sostenibilità sociale ed economica.

Un problema costituzionale e sociale

Giova ricordare che il principio della parità salariale è sancito dall’articolo 37 della Costituzione italiana, che stabilisce che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” ossia che a parità di lavoro le donne debbano ricevere una retribuzione uguale a quella degli uomini. Tuttavia, nonostante il fondamento costituzionale, i dati più recenti dimostrano che il gender pay gap è tutt’altro che risolto.

Gli studi che indicano quanto guadagnano in meno le donne rispetto agli uomini non mancano: il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum stima che, ai tassi attuali di progresso, ci vorranno ancora 131 anni per colmare completamente il divario globale tra uomini e donne in termini di parità economica.

A parte violare dei diritti costituzionali, questo scenario ha conseguenze tangibili per l’economia e la sostenibilità sociale. Il gender pay gap limita la partecipazione femminile al mercato del lavoro e, di conseguenza, la crescita economica complessiva. Una ricerca del Fondo monetario internazionale (Fmi), presentata all’inizio di quest’anno, indica che la riduzione del divario di genere nel mercato del lavoro contribuirebbe a far crescere il prodotto interno lordo (Pil) di quasi l’8% nelle economie emergenti e in via di sviluppo. Se invece eliminassimo del tutto il divario tra donne e uomini in questi Paesi, il Pil aumenterebbe del 23% in media.

Dati aggiornati sul divario salariale

Secondo i più recenti dati Eurostat del 2022, il gender pay gap non rettificato, ossia la differenza tra le retribuzioni orarie medie lorde di uomini e donne, si attesta intorno al 4,2% in Italia. La percentuale, una delle più basse in Europa, rispetto a una media UE del 12,7%, potrebbe sembrare confortante, ma va considerato che questo dato aggregato non riflette completamente le disparità esistenti in settori specifici e nei ruoli di leadership​ e che maschera altre forme di disuguaglianza, come la segregazione occupazionale (dove le donne sono sovrarappresentate in settori meno pagati) e l’accesso limitato a posizioni apicali. Per tacer del fatto che la situazione peggiora con l’aumento dell’età lavorativa e che spesso le carriere femminili vengono interrotte per motivi familiari.

Le conseguenze del gender pay gap: tra diritto e sostenibilità

Numeri a parte -anche se sono fondamentali per tenere monitorata l’evoluzione e strutturare delle azioni correttive efficaci- l’evidente violazione del diritto costituzionale si scontra anche con la sostenibilità sociale e il benessere delle persone.

La parità di genere, infatti, non è solo una questione etica o giuridica: il fatto che abbia ripercussioni rilevanti su aspetti più ampi come la crescita economica e la sostenibilità determina anche una maggiore prosperità, capacità di innovazione e maggiore equilibrio sociale in quei paesi dove viene sostanzialmente raggiunta.

Se è vero a livello macro economico, non lo è da meno a livello aziendale dove, affrontare il gender pay gap e trovare soluzioni efficaci per ridurlo (o sperabilmente azzerarlo) è uno dei tasselli che può contribuire a migliorare la sostenibilità complessiva dell’impresa. Le aziende che implementano politiche di equità salariale non solo ottemperano agli obblighi legali e costituzionali, ma costruiscono anche una forza lavoro più motivata, migliorando la produttività e riducendo il turnover.

Non solo. L’adozione di politiche di equità salariale è anche una chiave per attrarre e trattenere talenti: le generazioni più giovani sono particolarmente attente alle tematiche di giustizia sociale e le aziende che promuovono attivamente la parità di genere sono percepite in modo più positivo dal mercato e dagli investitori.

Giusto una riflessione sul settore legale

Nonostante l’aumento del numero di avvocate, le donne nel settore legale continuano a guadagnare significativamente meno rispetto ai loro colleghi uomini, specialmente nei ruoli di vertice. I dati più aggiornati che ho trovato risalgono al Rapporto 2022 sullo stato dell’avvocatura realizzato dal Censis per Cassa Forense. Lo studio ha evidenziato uno scarto in media superiore ai 30 mila euro: il reddito medio degli uomini è infatti pari a 56.768 euro contro un reddito medio femminile di 26.686. Direi che proprio non ci siamo.

Ma in sostanza perché le donne guadagnano meno?

Secondo quanto evidenziato dalla Commissione Europea, il divario retributivo di genere misura un concetto più ampio rispetto alla discriminazione salariale e comprende un gran numero di disuguaglianze che le donne devono affrontare nell’accesso al lavoro, alla progressione e alle ricompense. In particolare:

  • Segregazione settoriale

Circa il 24% del divario retributivo di genere è legato alla sovra rappresentazione delle donne in settori relativamente sottopagati, come l’assistenza, la salute e l’istruzione. I lavori in cui è elevata la presenza femminile tendono ad essere sistematicamente sottovalutati.

  • Distribuzione diseguale del lavoro retribuito e non retribuito

Le donne lavorano in media più ore settimanali rispetto agli uomini, ma dedicano più tempo ai lavori non retribuiti, il che può influire sulle loro scelte di carriera. Per questo motivo, l’UE promuove una condivisione equa dei congedi parentali, un’adeguata offerta di servizi pubblici per l’infanzia e politiche aziendali che favoriscano orari di lavoro flessibili.

  • Il soffitto di vetro
    La posizione nella gerarchia aziendale influenza la retribuzione: meno di un CEO su dieci nelle grandi aziende è una donna. A questo si aggiunge il fatto che, tra i dirigenti, le donne guadagnano il 23% in meno rispetto agli uomini, rappresentando la categoria con le maggiori differenze salariali nell’UE.

A parte queste evidenze, gran parte del divario retributivo di genere nell’UE rimane inspiegata e non può essere attribuita a fattori come istruzione, occupazione, orario di lavoro o settore economico.

Colmare il gender pay gap richiede un impegno a più livelli: da parte delle istituzioni, delle imprese e della società nel suo insieme. È necessario rafforzare le normative che promuovono l’equità salariale e sostenere le aziende che dimostrano di saper coniugare crescita economica e responsabilità sociale.

E senz’altro, tra le varie misure, una maggiore trasparenza salariale aiuterebbe senz’altro a evidenziare le differenze ingiustificate di retribuzione basate sul genere per lavori di pari valore, consentendo alle vittime di discriminazione salariale di far valere il proprio diritto alla parità di retribuzione.

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