Comunicazione: e se le regole fossero superate?
Nel corso degli ultimi mesi abbiamo assistito a varie polemiche legate all’utilizzo dei social da parte degli studi legali. Polemiche, a mio avviso, anche se resta la mia opinione, anacronistiche rispetto ai tempi. In un mondo che corre veloce, che si proietta verso l’innovazione e verso nuove forme di comunicazione, ci si pone ancora l’interrogativo se sia lecito o meno, da parte degli avvocati fare comunicazione, collegandola in un certo modo agli incarichi svolti e ai clienti assistiti.
Ora, l’articolo 35/8 del Codice deontologico forense è chiaro su questo punto: «indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano».
Ma in questa sede voglio porvi una domanda, che lascerò volutamente aperta e oggetto di vostra riflessione: ma se fosse il cliente a indicare l’advisor legale che lo ha accompagnato in un determinato avvenimento, sarebbe ugualmente questo da considerarsi una violazione? Secondo quale codice? Quale sarebbe l’organo preposto, a questo punto, a dover controllare ed eventualmente sanzionare?
Una vittoria amara
Nel corso degli scorsi mesi oggetto di un’accesa polemica è stato uno studio, “reo” di aver postato su linkedin il conferimento di un premio di settore, riportando la motivazione che ne dichiarava il primato sulla base dell’ottenimento di un licenziamento collettivo.
Il post, è stato immediatamente rimosso, a seguito delle prime reazioni da parte di alcune testate; ma se da un punto di vista stilistico può essere poco elegante esprimere gioia per aver contribuito al licenziamento di centinaia di persone, e di certo non di buongusto, c’è da dire che qui interviene anche una buona dose di ipocrisia.
Noto è infatti che i legali non sempre difendano cause altamente profilanti da un punto di vista umano, in molti casi infatti gli avvocati devono assistere e prestare consulenza anche ad aziende, enti, soggetti, su casi poco etici o addirittura difendendo i colpevoli (non dimentichiamo che i penalisti in genere assistono anche stupratori, assassini etc etc) e non per questo vengono indicati con disdegno.
Del resto: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (86,87 c.p.c; 96 ss. c.p.p.)”.
Anzi ancor più un avvocato saprà portare a vittoria il colpevole, tanto più quell’avvocato sarà considerato un ottimo difensore.
E allora, mi chiedo, come mai ci si scandalizzi ancora oggi, se gli avvocati vogliano in qualche modo rendere noti i propri successi? La propria capacità di svolgere la professione? Forse qualche regola andrebbe riscritta e adeguata ai tempi?
Certo, resta salva la condizione che il cliente debba essere espressamente d’accordo nel poter fare il proprio nome e narrarne l’accaduto, ma assodato questo punto, il dubbio, lecito è del perché ci si debba ancora interrogare sulla comunicazione in ambito legale.
Tra tacchi e toghe
Un altro evento che ha smosso l’opinione di molti e che ha fatto “scomodare” l’Ordine di Torino, riguarda due avvocate che hanno avuto l’idea di lanciare una pagina social, una sorta di blog, con video e immagini, per raccontare la loro vita tra toga e griffe di lusso.
Nulla di strano, si potrebbe immaginare. E invece no! Perché l’accostamento tra le materie del diritto e Chanel a molti ha fatto storcere il naso. Come se ancora, ci si dovesse giustificare, e si dovesse in qualche modo mettere a tacere la propria femminilità nel momento in cui si svolge una professione come quella dell’avvocato. Forse il tacco a spillo o lo stacco di gamba rende meno brave le due professioniste?
Forse, ancora peggio, l’esternazione della femminilità e del lusso, come in questo caso, va in contrasto con la professione? Io ritengo che a questa pagina, ideata dalle due avvocate torinesi, sia stato dato una maggiore eco mediatica di quanta ne avrebbe avuta, proprio in virtù della “chiamata” dell’Ordine degli avvocati di Torino. Qualora questa non fosse avvenuta, a mio modesto avviso, avrebbe fatto marciare la pagina in maniera silente, ma proprio questo aver puntato il dito contro, ha fatto sollevare vecchie e nuove tematiche, e incrementare esponenzialmente il numero dei followers e le pagine stampa ad esse dedicate.
Forse allora sarebbe il caso di sdoganare una determinata tipologia di comunicazione, del resto siamo nell’era dei social, e mantenendo il decoro consono alla professione che si rappresenta, non vedo il motivo per cui non sia possibile parlare di diritto con delle Louboutain ai piedi.
Alla fine a decretare il successo di una pagina social, come del professionista che vi sta dietro, sarà il mercato stesso, che smaschera molto più velocemente di quanto si pensi gli impostori” e premia chi davvero tratta la materia con competenza e serietà.