Come scegliere le parole giuste in uno studio professionale
Una parola vale un’altra, basta scrivere, basta comunicare, basta esserci. E no, non funziona così!
L’utilizzo delle parole, di un termine al posto di un altro, è fondamentale, essenziale per rendere efficace la propria strategia di comunicazione e centrare l’obiettivo del “cosa si vuole dire”, e soprattutto del “a chi si vuole dirlo”.
La cura del linguaggio, in un progetto di comunicazione per uno studio professionale, è la chiave, il passepartout per aprire porte, luoghi, conquistare persone.
Mettete sempre a fuoco il destinatario del messaggio. E si, perché a seconda di chi volete raggiungere, il linguaggio deve cambiare, deve adeguarsi, rispondere a esigenze diverse e di conseguenza a diversi registri linguistici.
Ovviamente a far mutare, trasformare il linguaggio, concorre anche il canale di comunicazione; diverso sarà il testo di una email, dall’articolo per una testata, al post su Linkedin etc…
Ma parlando a ogni modo di comunicazione, soprattutto considerandone la parte più diffusiva di essa, quella per esempio destinata ad una platea più vasta, a canali social, o a testate generaliste e che interessano un pubblico di ascolto più ampio, innanzitutto, cari professionisti dite addio ai tecnicismi!
Del tutto o almeno in parte. Tenete a mente che se parlate un linguaggio eccessivamente tecnico non farete altro che raggiungere solo ed esclusivamente i vostri competitor, i vostri colleghi, limitando il messaggio ad uno scambio di informazioni che, in realtà, chi lo recepisce, detiene già.
Dimenticate, quindi, la scrittura che adottate negli atti, nei documenti di lavoro, e abbracciate un linguaggio più “popolare” in modo tale da poter raggiungere anche i non addetti ai lavori.
E allora qualche piccolo suggerimento:
- Arricchite il vostro vocabolario. Osate, stupite, studiate, e alle volte giocate con le parole. Innescherete un effetto shock in chi vi legge, che non si aspetta da voi l’utilizzo di quel termine e restandone incuriosito cercherà di approfondire la faccenda, magari direttamente con voi.
- Abbandonate i termini arcaici, perifrasi desuete, avverbi arcaici. E se come scrive Giuseppe Conte nel il Linguaggio giuridico forense: forma stile funzione
“il linguaggio degli scritti difensivi rispecchia un sapere di antica, antichissima tradizione”, vero verissimo ma poi all’interno del testo continua l’analisi definendo che “ questo «sgraziato linguaggio è una sorta di armatura, o di cassetta di attrezzi», con cui gli avvocati «difendono la propria identità socio-culturale e la propria funzione tipica .Ma la difesa della propria identità professionale non può essere affidata a modalità espressive involute e retoriche. Questo “conformismo” linguistico, in realtà, è «una patina stilistica», che «ben lontana dall’impreziosire, offusca il modo di esprimersi» . La custodia del proprio ruolo socio-culturale non può certo passare da una prosa scarsamente efficace sul piano comunicativo, per non parlare dei casi in cui quel che manca è proprio il rispetto delle regole grammaticali”.
- Siate devoti alla “dea Sintesi”. Sempre Conte nel suo testo sull’analisi del linguaggio afferma: “Un’altra tendenza degli avvocati civilisti è di affidare le loro argomentazioni difensive a un periodare molto lungo, infoltito da precisazioni pleonastiche ed espressioni ridondanti, tributarie di vezzi linguistici sedimentati nel corso del tempo” concludendo poi “Bisogna ammetterlo: buona parte degli scritti difensivi civilistici, ove filtrati al vaglio di una rigorosa operazione di igiene linguistica, finirebbero drasticamente sfoltiti; molte delle espressioni in essi contenute potrebbero essere tranquillamente eliminate senza che l’eleganza della prosa e l’efficacia della comunicazione ne possano minimamente risentire”.