Modello 231 e fattori ESG: indicazioni per la gestione dei rischi

30.10.2024 - Tempo di lettura: 10'
Modello 231 e fattori ESG: indicazioni per la gestione dei rischi

Un focus sulle relazioni tra Sistema 231 e Sistema ESG e sull’impatto dei fattori Environment, Social e Governance sul modello organizzativo previsto dal d.lgs. 231/2001, attraverso il documento di ricerca messo a disposizione da CNDCEC e FNC.

Con le novità relative al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e l’aumento dell’importanza delle strategie di sostenibilità in ambito ESG, promosse anche dalle normative europee (come la Direttiva 2022/2464/UE – CSRD), la compliance alla normativa del d.lgs. 231/2001 sta acquisendo sempre maggiore importanza.

Il modello 231 non è ancora ampiamente utilizzato, soprattutto dalle PMI, ma è uno strumento piuttosto utile soprattutto per la gestione dei rischi e la prevenzione dei reati.

Può rivestire un ruolo fondamentale anche a supporto delle decisioni aziendali, nell’ottica di favorire attività che creano valore per gli stakeholder, nell’ambito degli ESG.

Il modello può infatti essere di aiuto per la corretta gestione dei rischi e per assicurare la sostenibilità e lo sviluppo delle imprese.

Per tali ragioni il Consiglio e la Fondazione nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili hanno diffuso un documento dal titolo “Modello 231 e fattori ESG: l’importanza di una virtuosa connessione”.

Il documento di ricerca esplora le numerose relazioni tra “Sistema 231” e “Sistema ESG”, concentrandosi sull’impatto dei fattori Environment, Social e Governance sul modello organizzativo previsto dal d.lgs. 231/2001.

Lo studio intende verificare le potenzialità del binomio, in termini di compliance integrata, per fornire strumenti operativi ai professionisti impegnati nella consulenza nell’ambito 231 e in quello della sostenibilità.

Il documento è articolato in sei capitoli che spaziano dal concetto di sostenibilità alla responsabilità degli enti e al modello organizzativo fino a raggiungere la compliance integrata e possibili sinergie tra modello 231 e fattori ESG.

L’evoluzione del concetto di sostenibilità

Lo studio dei commercialisti parte dall’evoluzione del concetto di sostenibilità, valore che sta assumendo sempre più importanza nel sistema economico-finanziario e imprenditoriale.

In tale contesto viene si impone la sfida di scelte di lungo termine basate su fattori Enviromental, Social, Governance (ESG).

Le aziende sono sempre più chiamate a coniugare la sostenibilità dell’impresa e la sua capacità di gestire i rischi con gli obiettivi di sostenibilità ambientale, di inclusione sociale, di tutela dei diritti delle persone e di rispetto delle differenze.

In questo senso il minimo comune denominatore tra gli adeguati assetti OAC e i rischi ESG è rappresentato dall’approccio risk based e forward looking.

L’impresa è chiamata a mettere in campo elementi tattici, relativi al breve periodo, e fattori strategici, legati a scelte di lungo termine.

I primi sono rappresentati dalla continuità aziendale, i secondi dalla sostenibilità.

Nell’attuale contesto è in continua crescita, soprattutto nei casi di domanda e offerta di capitale, la richiesta di requisiti per una crescita sostenibile delle aziende, oltre a forme innovative di gestione per incrementare l’affidabilità e la competitività delle imprese.

La responsabilità degli enti e il modello organizzativo: lo stato dell’arte

Dopo un focus sul concetto di sostenibilità, il documento di ricerca si sofferma sulla responsabilità degli enti e sulla necessità di adottare un appropriato modello organizzativo.

Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, relativo alla disciplina della responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, permette di porre un freno alla realizzazione di reati legati alla personalità giuridica e all’impunità.

Nel documento sono passati in rassegna i casi di responsabilità riconducibili a un misto tra la natura penale e quella amministrativa.

Gli elementi della responsabilità degli enti possono essere sintetizzati nella seguente lista:

  1. commissione di un reato-presupposto da parte di un soggetto apicale (colui che riveste funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione) o di una persona sottoposta alla direzione o vigilanza dei soggetti apicali;
  2. interesse o vantaggio dell’ente perseguiti attraverso la commissione del reato;
  3. colpevolezza dell’ente, la cosiddetta colpa di organizzazione.

I reati disciplinati dal d.lgs. 231/2001 sono tassativi. Il decreto disciplina quelli realizzati da soggetti in posizioni apicali e da sottoposti, ovvero:

  • da coloro i quali abbiano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché soggetti che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente;
  • da sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei predetti soggetti.

In ogni caso la colpa dell’ente deve essere dimostrata sulla base delle scelte di politica aziendale, con una colpa dell’organizzazione o nel caso di inosservanza di obblighi di direzione o vigilanza.

Se il reato è commesso da un soggetto apicale, l’ente non risponde se:

  • l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
  • il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
  • le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
  • non c’è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo.

In questo caso l’ente è chiamato a dimostrare che la volontà criminale interessa solo il soggetto che ha compiuto l’illecito e che ha efficacemente implementato un sistema idoneo al rispetto degli obblighi previsti dalla norma.

In altre parole per evitare le sanzioni l’ente deve provare:

  • l’adozione di modelli idonei;
  • la nomina dell’Organismo di Vigilanza;
  • l’efficace esercizio delle funzioni di controllo da parte di quest’ultimo;
  • l’elusione fraudolenta da parte dell’autore materiale del reato.

La norma prevede infatti una “colpa di organizzazione” nei casi di omessa predisposizione di un appropriato modello di organizzazione e controllo dei rischi, con l’obiettivo di trasparenza e tutela dell’ente.

I modelli devono infatti:

  • individuare l’ambito di attività in cui possono essere commessi reati;
  • prevedere specifici protocolli per programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente;
  • individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie per impedire i reati;
  • prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo di vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli;
  • introdurre un sistema disciplinare con sanzioni per il mancato rispetto delle misure.

Tra le violazioni che si devono tenere in considerazione ci sono quelle relative al whistleblowing. I modelli devono infatti prevedere canali di segnalazione interna, il divieto di ritorsione e un apposito sistema disciplinare.

In ultimo un focus viene dedicato all’Organismo di Vigilanza, che deve essere caratterizzato da autonomia, indipendenza, professionalità e continuità d’azione.

Gli enti possono preferire la composizione monocratica o plurisoggettiva. Possono inoltre essere scelti membri interni ed esterni, valutando le scelte sulla base di diversi fattori (complessità organizzativa, il numero e le caratteristiche delle aree a rischio, l’articolazione del sistema di controllo preesistente, eventuali competenze interne adatte per il ruolo).

La definizione dei compiti dell’Organismo di Vigilanza è particolarmente importante anche per definire la responsabilità dei suoi componenti.

La declinazione dei fattori ESG e i punti di contatto con i reati presupposto del “Catalogo 231”

Dopo aver esaminato gli elementi per determinare l’eventuale responsabilità degli enti e la necessità di dotarsi di un modello organizzativo adeguato, il documento di ricerca diffuso dai commercialisti esamina più nel dettaglio le connessioni e le affinità tra gli ambiti di interesse del Decreto 231 e gli Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

Il modello 231 può rappresentare un punto di partenza per una governance a supporto dell’azienda sotto l’aspetto della sostenibilità. Allo stesso tempo lo strumento può favorire la compliance per l’implementazione delle procedure aziendali nell’ambito ESG.

Tali fattori, al pari di altri, non sono esenti da rischi che devono essere opportunamente valutati. I rischi legati al cambiamento climatico e quelli sociali interessano soprattutto il business dell’azienda, il prodotto o servizio fornito, i processi produttivi, i siti in cui si viene svolta l’attività.

Nell’ambito “Environment” rientrano diversi possibili reati relativi a: violazioni urbanistiche, gestione di rifiuti, inquinamento atmosferico, tutela delle acque, sostanze pericolose, inquinamento acustico, normativa REACH31, sostanze chimiche e molti altri.

Tra i rischi legati all’ambito social “Social” rientrano, ad esempio: i reati in tema di salute e sicurezza dei lavoratori, quelli informatici e relativi al trattamento dei dati, i reati contro la personalità individuale, l’utilizzo di lavoratori irregolari e le false dichiarazioni rilasciate all’autorità giudiziaria.

In merito ai reati relativi all’ambito “Governance”, invece, si può fare riferimento ai seguenti casi esemplificativi: reati di market abuse, reati tributari/fiscali e di contrabbando, reati societari, false comunicazioni sociali, reati di riciclaggio e autoriciclaggio, reati associativi e transnazionali, reati connessi al codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.

L’EFRAG, nella stesura dei principi di rendicontazione relativi alla CSRD finalizzati ad assicurare la comprensione dell’attività di impresa ha individuato le informazioni legate agli ambiti ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, legandoli alla governance dell’impresa.

Uno specifico approfondimento presente nel documento di ricerca è legato ai seguenti reati:

  • rischio di false comunicazioni sociali con l’avvento della CSRD;
  • greenwashing;
  • greenhushing.

L’Unione europea, con la CSRD, mira a migliorare il monitoraggio delle informazioni comunicate dalle imprese e della propria catena di valore, soprattutto in merito ai rischi di sostenibilità e agli impatti su persone e ambiente.

Un ulteriore passaggio è legato al rapporto tra digitalizzazione e fattori ESG. Tra gli altri obblighi previsti dalla CSRD le imprese devono:

  • redigere la relazione sulla gestione in formato XHTML;
  • generare una sezione nella rendicontazione di sostenibilità in conformità con la tassonomia digitale di cui al Regolamento (UE) 2019/815 sul formato elettronico unico di comunicazione, anche noto come ESEF (European Single Electronic Format).

Rendicontazione ESG, bilancio di esercizio e compliance 231

Tra gli strumenti di rendicontazione ESG, utilizzati dalle aziende per l’analisi e la rendicontazione di dati riguardanti gli aspetti ambientali, sociali e di governance, uno dei più utilizzati è il bilancio di sostenibilità.

Lo strumento può essere considerato un punto di equilibrio tra bilancio sociale e bilancio ambientale e permette di rendicontare gli impatti dei fattori ESG.

Il report offre diversi vantaggi per le imprese:

  • il miglioramento dell’ambiente lavorativo, con una maggiore soddisfazione dei dipendenti e un aumento di produttività;
  • la semplificazione dei processi e la riduzione dei costi;
  • il monitoraggio delle strategie e delle scelte gestionali dell’organizzazione;
  • il controllo sugli impatti negativi in materia ambientale, sociale e di governance;
  • un miglior rapporto con gli istituti di credito;
  • l’attrazione di potenziali investitori;
  • maggiore visibilità per permettere a terzi di comprenderne i valori aziendali e organizzativi.

Con il recepimento della CSRD, a partire dal 2025 e con riferimento all’esercizio 2024, la rendicontazione di sostenibilità dovrà essere inclusa nella relazione sulla gestione che è redatta dagli amministratori ai sensi dell’art. 2428 c.c.

Dovrà essere predisposta una sezione che dovrà contenere:

  • le informazioni necessarie per valutare l’impatto dell’impresa sulla sostenibilità;
  • le indicazioni su come i piani di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa e sui suoi risultati.

In tali processi un ruolo importante è ricoperto dal modello 231, che permette alle imprese di alimentare e contribuire alla cultura della legalità.

Tale aspetto può essere di arricchimento per il report di sostenibilità, sia per la governance che per gli stakeholder.

La corretta e separata indicazione dei dati sostenibili all’interno di un bilancio d’esercizio, in relazione a specifiche voci di conto, permette di ottenere i dati economico-finanziari da indicare nei report ESG e nella relazione di gestione (nella sezione dedicata alla sostenibilità).

In tale quadro si inseriscono anche i nuovi principi contabili della rendicontazione integrata prevista dalla CSRD, gli ESRS (European Sustainability Reporting Standard), che prevedono un’articolata identificazione di rischi e presidi. Tali aspetti richiedono il coinvolgimento di più soggetti e di più funzioni aziendali.

I principi di rendicontazione, in particolar modo quelli relativi all’ESRS G1 e alle disposizioni dell’ESRS 2 in tema di governance, si possono riferire anche al modello 231 e alla correlata compliance integrata.

Rating ESG: stato dell’arte e possibili sviluppi normativo

Dopo aver analizzato gli aspetti legati alla rendicontazione ESG, al bilancio di esercizio e alla compliance 231, il documento si concentra sui rating ESG.

Tali rating sono sempre più diffusamente presi in considerazione da diversi soggetti, comprese le banche che devono considerare l’impatto sulla posizione patrimoniale e sulla redditività e sostenibilità dell’ente, nonché i relativi fattori ambientali, sociali e di governance.

Sono quindi diversi gli operatori che hanno creato rating per valutare le prestazioni degli enti.

Tra questi, quelli che Commissione europea mette in evidenza si possono distinguere sulla base di diversi elementi:

  • oggetto della valutazione;
  • prospettiva di analisi
  • modalità di elaborazione della valutazione.

I rating ESG si basano in diversi casi su una raccolta passiva di dati, basata in larga parte sulle informazioni pubblicate dalle imprese. Proprio per questo le aziende devono valutare la propria attività di disclosure in tema di sostenibilità e di attenzione ai temi ambientali, sociali e di governance (compresa l’adozione del modello 231).

La mancanza di standard comuni favorisce notevoli differenze nella valutazione dei diversi operatori, tuttavia un ulteriore punto di contatto tra l’attribuzione dei rating ESG e l’impianto normativo ex d.lgs. 231/2001 è rappresentato dal rating di legalità, che è considerato come un rating ESG a più livelli.

Compliance integrata, modello 231 e fattori ESG: possibili sinergie

Alla luce della trattazione dei temi che compongono il documento realizzato per i professionisti, nella parte finale vengono formulate alcune conclusioni in merito alla compliance integrata, al modello 231 e ai fattori ESG.

Un sistema integrato rappresenta sia una necessità sia un potenziale punto di forza per le imprese.

Le recenti riforme in tema di adeguati assetti organizzativi e la crescente diffusione delle strategie di sostenibilità ESG hanno reso sempre più necessari strumenti aziendali per prevenire le crisi, governare i rischi e sviluppare processi generativi di valore.

Le strategie di sostenibilità ESG hanno l’obiettivo di spingere la governance aziendale a favorire processi di creazione di valore più significativi per gli stakeholder, negli ambiti Environment, Social e Governance.

In questo quadro il modello 231 può essere efficacemente utilizzato come sistema di governo consapevole delle aziende, anche in chiave ESG.

L’utilizzo del modello permette, infatti:

  • una corretta individuazione di mansioni e responsabilità del personale apicale e sottoposto, per migliorare l’organizzazione dell’ente e aumentarne l’affidabilità e la prevenzione dei rischi-reato;
  • un’integrazione dei sistemi di gestione aziendale, riconducendo diversi processi a una logica unitaria;
  • la percezione di uno standing più elevato da parte degli interlocutori esterni;
  • una maggiore attenzione e sensibilità verso lo sviluppo sostenibile.

I fattori ESG e il modello 231 hanno quindi un ruolo cruciale per la compliance alla normativa e per la sostenibilità.

Da un lato il modello  231 ha l’obiettivo di prevenire il rischio di compimento dei reati presupposto, attraverso principi, regole, divieti e norme di condotta. L’integrazione di tale modello con le regole di comportamento ESG permette non solo una maggiore efficacia sulla prevenzione dei rischi 231 ma anche la limitazione di potenziali impatti negativi sulla sostenibilità, a vantaggio dell’ente e dei propri stakeholder.

Nel documento vengono inoltre forniti esempi concreti della relazione tra i reati che il modello 231 intende prevenire e i relativi obiettivi ESG.

La duplice finalità, ovvero l’ottenimento di un sistema di gestione del rischio e di politiche di condotta finalizzate al raggiungimento dei target ESG, comporta necessarie sinergie:

  • la costruzione dei presidi indicati nel modello organizzativo in maniera più attenta e strutturata;
  • il rafforzamento dei flussi informativi tra i diversi organi aziendali;
  • l’implementazione di un sistema di controllo integrato.
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