CSRD: cosa prevede il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri

24.07.2024 - Tempo di lettura: 8'
CSRD: cosa prevede il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri

Il contenuto del decreto di attuazione della CSRD, la Sustainability Reporting Directive, approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri.

 

Si aggiunge un nuovo tassello all’attuazione della CSRD, la Sustainability Reporting Directive. La direttiva 2022/2464/UE rientra nell’ambito del Green Deal europeo e ha come obiettivo la promozione della trasparenza e la divulgazione di informazioni da parte delle imprese.

Tali informazioni sono relative agli impatti ambientali, sociali e legati alla governance, ovvero agli obiettivi ESG.

Nel Consiglio dei Ministri dello scorso 10 giugno è stato approvato, a seguito dell’esame preliminare, lo schema di decreto legislativo per recepire la direttiva.

Il 6 luglio scorso era invece fissata la scadenza per il recepimento di tale direttiva da parte degli Stati membri.

CSRD: le novità in arrivo con il decreto legislativo

Al termine della riunione del 10 giugno scorso, il Consiglio dei ministri ha approvato, dopo l’esame preliminare, la direttiva europea relativa alla rendicontazione societaria di sostenibilità.

Il decreto è un ulteriore tassello per l’adeguamento della normativa nazionale agli obiettivi europei e arriva dopo la consultazione sul relativo schema, aperta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e conclusa il 18 marzo scorso.

La finalità della rendicontazione societaria di sostenibilità è quella di permettere l’accesso da parte di investitori e stakeholders a un’informativa sulla sostenibilità maggiormente dettagliata, chiara, standardizzata, per la singola impresa o gruppo.

In questo modo è possibile ottenere riscontri per il mercato finanziario, in relazione a completezza dell’informativa, trasparenza e comparabilità dei dati.

La direttiva CSRD è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 16 dicembre 2022 ed è entrata in vigore il 5 gennaio 2023. La data di recepimento da parte degli Stati membri era fissata al 6 luglio scorso.

CSRD: le principali novità del decreto legislativo sulla rendicontazione societaria di sostenibilità

La direttiva 2022/2464/UE prevede il rafforzamento degli obblighi di reporting non strettamente finanziario.

Nello specifico è prevista l’estensione di tali obblighi alle PMI, diverse dalle microimprese. Gli obblighi previsti dalla Non-Financial Reporting Directive (Direttiva 2014/95/EU) sono invece destinati a imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico.

Tra i requisiti per l’assoggettamento a tali obblighi c’è la presenza, a chiusura del bilancio, di un numero di 500 dipendenti, considerati come media. I nuovi obblighi, invece, interesseranno anche le piccole e medie imprese che rappresentano enti di interesse pubblico.

Con l’attuazione della direttiva si passerà dalla “rendicontazione non finanziaria” alla “rendicontazione di sostenibilità”. Tale rendicontazione fa riferimento alle informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità e a quelle necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui risultati e sulla sua situazione aziendale.

In linea generale la finalità della CSRD è quella di garantire che le aziende forniscano informazioni chiare, comparabili e affidabili sulle pratiche di sostenibilità. Le informazioni sono infatti fondamentali per investitori, consumatori e altri stakeholder, nell’ottica di permettere di decidere in modo informato.

Innanzitutto vengono fornite le definizioni necessarie per l’applicazione delle regole. Tra queste rientrano: la società madre, la società figlia, la società madre europea, la società madre extra-europea, gli standard di rendicontazione, i principi di attestazione, le questioni di sostenibilità, la rendicontazione di sostenibilità, la relazione sulla gestione, le risorse immateriali essenziali, la relazione di sostenibilità, i ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, la classificazione di microimprese, piccole e medie imprese quotate, imprese di grandi dimensioni e gruppi di grandi dimensioni.

Vengono poi determinati i soggetti obbligati, ovvero le imprese costituite in forma giuridica di società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società in nome collettivo e società in accomandita semplice.

Nel decreto è prevista l’esclusione per la Banca d’Italia, per alcuni prodotti finanziari e per le microimprese.

A vantaggio di alcuni soggetti (piccole e medie imprese quotate, enti piccoli e non complessi, alcune imprese assicurative) è prevista la riduzione dell’insieme delle informazioni da inserire nella rendicontazione di sostenibilità.

Sono inoltre stabilite le modalità per la rendicontazione di sostenibilità, che deve essere resa nel formato elettronico di comunicazione specificato dalla normativa europea. In alcuni casi tale rendicontazione esenta da alcuni obblighi civilistici.

CSRD: le regole per le grandi società

Il decreto approvato dal Consiglio dei Ministri prevede specifiche regole per le società madri di un gruppo di grandi dimensioni.

Tali società sono chiamate a includere in un’apposita sezione della relazione sulla gestione le informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto del gruppo sulle questioni di sostenibilità. Devono inoltre essere presenti le informazioni per permettere di comprendere il modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento del gruppo, sui risultati e sulla situazione di tale gruppo.

La relazione interessa anche le società figlie e le succursali di società madri extra europee, che abbiano generato in ciascuno degli ultimi 2 esercizi consecutivi nel territorio dell’Unione europea ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di euro.

La rendicontazione deve essere pubblicata sul sito internet della società

CSRD: il ruolo del revisore di sostenibilità

Il decreto legislativo prevede specifiche regole dell’attestazione relativa alla conformità della rendicontazione di sostenibilità.

Nello specifico tale compito deve essere svolto da un revisore ad hoc che può essere lo stesso revisore legale incaricato della revisione legale del bilancio, oppure un diverso revisore.

Tale revisore dovrà avere una specifica preparazione: il decreto modifica infatti la disciplina del tirocinio per l’applicazione delle conoscenze teoriche finalizzate al superamento dell’esame di idoneità professionale per l’esercizio dell’attività di revisore contabile.

Tali modifiche intendono integrare tale figura con la nuova figura del revisore di sostenibilità.

Con un apposito decreto interministeriale saranno definiti il contenuto e le modalità di presentazione della domanda di abilitazione dei revisori e delle società di revisione, per la conformità della rendicontazione di sostenibilità.

Lo stesso decreto disciplinerà anche il contenuto, le modalità e i termini di trasmissione delle informazioni e degli aggiornamenti da parte degli iscritti nel Registro dei revisori contabili.

CSRD: la tabella di marcia degli obblighi

Gli obblighi relativi all’attuazione della CSRD, sulla trasparenza e la divulgazione di informazioni da parte delle imprese, entreranno in vigore in maniera graduale.

Le informazioni relative agli impatti ambientali, sociali e legati alla governance (i fattori ESG) dovranno essere applicati con un calendario modulato sulla base dei soggetti in questione.

Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della Direttiva n. 2022/2464/UE l’applicazione degli obblighi di informativa sulla sostenibilità avverrà in diverse fasi.

La prima fase è relativa agli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2024 o in data successiva:

  • alle grandi imprese quali definite dall’articolo 3, paragrafo 4, Direttiva 2013/34/UE, che costituiscono enti di interesse pubblico a norma dell’articolo 2, punto 1), Direttiva 2013/34/UE e che alla data di chiusura del bilancio superano il criterio del numero medio di 500 dipendenti occupati durante l’esercizio;
  • agli enti di interesse pubblico quali definiti all’articolo 2, punto 1) Direttiva 2013/34/UE che costituiscono imprese madri di un grande gruppo a norma dell’articolo 3, paragrafo 7, di tale Direttiva e che, su base consolidata, alla data di chiusura del bilancio superano il criterio del numero medio di 500 dipendenti occupati durante l’esercizio.

Con riferimento alla prima categoria è opportuno richiamare la definizione di “grande impresa”. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, Direttiva n. 2013/34/UE sono le imprese che alla data di chiusura del bilancio superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti:

  • totale dello stato patrimoniale di 20.000.000 di euro;
  • ricavi netti delle vendite e delle prestazioni di 40.000.000 di euro;
  • 250 come numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio.

In riferimento alla seconda categoria è invece opportuno riportare le caratteristiche per individuare gli “enti di interesse pubblico”. In questo caso, ai sensi dell’articolo 2, punto 1), Direttiva 2013/34/UE rientrano in tale categoria le imprese che sono:

  • disciplinate dal diritto di uno Stato membro e i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 14, Direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari;
  • enti creditizi quali definiti all’articolo 4, punto 1, Direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio, diversi da quelli di cui all’articolo 2 di detta direttiva;
  • imprese di assicurazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, Direttiva 91/674/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1991, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione; o
  • designate dagli Stati membri quali enti di interesse pubblico, ad esempio le imprese che presentano un interesse pubblico significativo per via della natura della loro attività, delle loro dimensioni o del numero di dipendenti.

La seconda fase è relativa agli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2025 o in data successiva:

  • alle grandi imprese ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, Direttiva 2013/34/UE diverse da quelle di cui al punto precedente;
  • alle imprese madri di un grande gruppo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 7, Direttiva 2013/34/UE diverse da quelle di cui al punto precedente.

La terza fase, per gli esercizi aventi inizio al 1° gennaio 2026 o in data successiva, interessa invece le piccole e medie imprese ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, Direttiva 2013/34/UE che sono enti di interesse pubblico quali definiti nell’articolo 2, punto 1), lettera a), Direttiva 2013/34/UE e che non sono micro imprese ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della stessa Direttiva.

È opportuno sottolineare che le PMI potranno optare per un periodo di deroga non adempiendo all’obbligo di rendicontazione per un massimo di due anni, dunque fino al 2028, grazie all’opzione denominata “opt-out”.

Con riferimento alle ultime due fasi citate è opportuno richiamare le caratteristiche delle micro-imprese, delle piccole imprese e delle medie imprese.

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, Direttiva 2013/34/UE sono considerate “micro imprese” quelle imprese che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre seguenti criteri:

  • totale dello stato patrimoniale di 350.000 euro;
  • ricavi netti delle vendite e delle prestazioni di 700.000 euro;
  • Numero medio di 10 dipendenti occupati durante l’esercizio.

Si definiscono invece “piccole imprese” ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, Direttiva 2013/34/UE le imprese che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti:

  • totale dello stato patrimoniale di 4.000.000 euro;
  • ricavi netti delle vendite e delle prestazioni di 8.000.000 euro;
  • numero medio di 50 dipendenti occupati durante l’esercizio.

Passando infine alla definizione di “medie imprese”, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, Direttiva 2013/34/UE sono quelle che non rientrano nella categoria delle micro-imprese o delle piccole imprese e che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti:

  • totale dello stato patrimoniale di 20.000.000 euro;
  • ricavi netti delle vendite e delle prestazioni di 40.000.000 euro;
  • numero medio di 250 dipendenti occupati durante l’esercizio.

L’ultima fase, per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2028 o in data successiva, interessa le grandi imprese/gruppi extra UE, che possiedono:

  • un fatturato di oltre 150.000 euro all’interno dell’Unione per due anni consecutivi;
  • una filiale (subsidiary) che si qualifica come PMI quotata e/o una succursale (branch) con fatturato netto di oltre 40.000.000 euro per l’esercizio precedente;
  • PMI quotate che hanno derogato sulla base dell’opzione “opt-out”.
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