Disciplina fiscale per gli enti no profit (incluse ASD)
Esistono enti senza natura commerciale che perseguono delle finalità sociali anziché prettamente economiche che vengono definite pertanto no profit e sono soggette ad una disciplina fiscale dedicata per via della diversa organizzazione aziendale.
Norme per gli enti no profit
L’ente in oggetto può configurarsi in diversi modi in base alla natura ed alla finalità da perseguire; le forme giuridiche principali sono le associazioni e le fondazioni.
Un’attività per essere riconosciuta come no profit deve rispettare i parametri contemplati dall’articolo 2195 del codice civile; sono assimilabili ad attività commerciali anche quelle che non si configurano come professionali o abitudinarie.
Gli obiettivi della no profit devono essere esplicitati all’interno dell’atto costitutivo e l’esercizio deve risultare perfettamente compatibile a quanto espresso.
Diversamente rispetto a quanto si possa pensare, le no profit possono perseguire anche dei fini di lucro, purché vengano rispettati gli scopi sociali e che i ricavi restino nell’ente, senza possibilità di distribuzione degli utili ai soci.
La norma di riferimento è l’articolo 149 DPR 917/1986 che va a regolare i limiti d’azione e le qualifiche di questo genere di attività; per mantenere il requisito non commerciale ovviamente la parte relativa al ‘lucro’ deve essere circoscritta e temporanea, finalizzata all’incremento degli introiti destinati alle attività sociali da mettere in atto.
A conferma di quanto esposto il comma 3 indica come esenti i redditi ottenuti mediante raccolte fondi occasionali, anche in presenza di cessione di beni di modico valore al donatore, in contesti di particolari ricorrenze o campagne informative; non vengono considerati imponibili neppure i contributi ottenuti, per eventi istituzionali o comunque in conformità con l’interesse pubblico, da parte di enti accreditati o dalla pubblica amministrazione.
L’articolo 148 espone invece le varie tipologie di associazione o enti disponibili, informando che non sono configurabili come commerciali le attività eseguite al servizio degli associati e delle istituzioni, neppure in presenza di versamenti di quote associative che, pertanto, non saranno considerate ai fini reddituali; ciò è stato confermato anche da parte della Corte Costituzionale attraverso la sentenza numero 467 del 1992.
Il reddito dell’associazione
Come si sarà potuto capire la linea tra ciò che si configura come commerciale e ciò che risulta non commerciale è piuttosto sottile; perciò è bene sottolineare che la cessione di beni o servizi risulta non commerciale per gli enti no profit se avviene in conformità agli obiettivi istituzionali o riferite agli associati.
Per questo motivo in caso di circoli con accesso aperto e con possibilità di somministrazione dei servizi a persone terze all’associazione l’agevolazione decade (sentenza numero 612/06 della Cassazione).
Rientrano nel reddito commerciale le attività remunerate dagli associati in maniera continuativa, in misura eccedente rispetto alla quota associativa e per servizi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dallo statuto; se questi redditi sono occasionali sono configurabili come redditi diversi in fase di dichiarazione fiscale.
Un esempio di questa situazione sono i bar presenti all’interno dei circoli o delle associazioni che assumono natura commerciale, in quanto attività non strettamente legata ai fini istituzionali.
Gli obiettivi perseguiti dalle associazioni possono essere di varia natura: culturale, sociale, politica, sportiva a livello dilettantistico, formativa, etc e possono prevedere dei corrispettivi economici erogati dai propri associati, iscritti o da parte di associazioni collegate, mediante una ramificazione sul territorio nazionale.
Rientrano nel concetto di ‘non commerciale’ le attività aggregative che prevedono l’erogazione di servizi come mense, acqua, pasti, gas, energia, etc così come le azioni finalizzate alla pubblicità ed alla comunicazione.
Per gli enti che si occupano di promozione sociale, considerando i nobili scopi, esiste una normativa specifica e vengono riconosciute direttamente dal Ministero dell’Interno e da altre organizzazioni affini; queste infatti vengono considerate non commerciali per eccellenza, con regole meno ferree riguardo alle attività svolte in deroga ai limiti previsti dalla norma come la somministrazione alimentare, l’assistenza dei lavoratori, etc a fronte del pagamento di un corrispettivo.
Anche le organizzazioni che hanno scopi turistici sono soggette ad un regime fiscale particolare, purché sia riconosciuta la pubblica utilità e sia svolta conformemente agli obiettivi istituzionali verso i propri associati.
La detassazione viene concessa soltanto a patto che gli statuti e gli atti costitutivi delle associazioni prevedano esplicite clausole mirate a garantire la democrazia al loro interno e nel tempo; è obbligo anche vietare la distribuzione di eventuali utili prodotti, anche in modo indiretto come la cessione di quote o di ruoli decisionali, se non in caso di morte.
Le associazioni di natura religiosa, sindacale, politica e di categoria sono esenti dalla clausola espressa di democraticità se riconosciute dallo Stato.
Tassazione delle associazioni
Gli enti no profit sono comunque soggetti all’IRES sulla base dei capitali, dei redditi fondiari e d’impresa prodotti, con piccoli vantaggi sulle aliquote applicate; secondo lo stesso principio gli immobili intestati risultano come beni strumentali e sono deducibili.
I costi e le spese sostenute per servizi e beni ad uso promiscuo commerciale e non commerciale sono invece deducibili in base al ‘pro rata’ e vanno contabilizzati separatamente; in deduzione all’IRES possono essere applicati numerosi altri correttivi positivi che vanno a ridurre l’ammontare della tassa in base alla natura dell’attività svolta e dei beni iscritti in capo all’ente; l’articolo 6 del decreto presidenziale 601/1973 prevede inoltre che la tassa venga dimezzata per le associazioni che prestano la propria opera per la pubblica utilità o per scopi sociali.
Un ulteriore trattamento fiscale spetta alle pro loco come stabilito dalla legge 389/91 ed attuabile anche per le associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI e quelle senza scopo di lucro; tale agevolazione fiscale riguarda i redditi inferiori ai 250 mila euro per anno solare o esercizio.
Nel caso si voglia beneficiare di questo tipo di tassazione bisogna esprimere tale volontà e il regime avrà validità per cinque anni, con possibilità di rinnovo presso l’Agenzia delle Entrate o la SIAE. In questo caso si prenderà forfettariamente un tasso di redditività pari al 3%, escludendo dagli introiti quelli relativi a costi di formazione, raccolte fondi e ricavi ottenuti da attività commerciali svolte non più di due volte per anno e con introiti inferiori a 51645,69 euro.
Anche gli enti no profit sono soggetti all’IRAP in misura del 3,9% sull’imponibile derivante da retribuzioni di dipendenti e rapporti di collaborazione non continuativi. L’applicazione dell’IVA invece avviene solo per attività di natura commerciale, con possibilità di detrazione delle spese sostenute e sui costi di pubblicità e sponsorizzazione al 50%.
Le associazioni di tipo non commerciale non sono soggette all’obbligo di tenuta di un conto finanziario né economico; in caso di raccolte fondi però è necessario indicare introiti e costi entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio.
Determinante per poter fruire delle agevolazioni sopra descritte è la presentazione telematica del modello EAS entro 60 giorni dall’atto costitutivo; in caso di dimenticanza di può provvedere al ravvedimento versando una sanzione di 258 euro ma solo se non sono in corso ispezioni o notifiche da parte dell’Ade.
La semplificazione delle norme
Una revisione degli enti appartenenti al terzo settore ha riformato e semplificato parte delle regole, individuando come ‘non commerciali’ gli enti che svolgono attività gratuitamente o che comunque abbiano ricavi non superiori ai costi sostenuti.
Gli enti che affiancano anche attività commerciali beneficiano di una tassazione agevolata tra il 7 ed il 17 percento in base alle soglie di reddito.