Comprare casa: cosa sapere prima di fare un’acquisto
Il concetto di proprietà nel nostro tessuto sociale ricopre da sempre grande importanza, in quanto identificato come parametro con cui misurare il livello di benessere raggiunto da una determinata persona. Maggiore è il valore di ciò che posso permettermi di acquistare, più elevata è la posizione che mi verrà riconosciuta nella scala sociale. Per molto tempo è stato così e tuttora questo modo di pensare è ancora molto ben radicato nel modello economico occidentale.
In ambito immobiliare, la proprietà della casa si è spesso intrecciata con il concetto di stabilità, personale ed economica, che il poter disporre di un tale bene durevole per sé stessi e per la propria famiglia è in grado di fornire.
Il rovescio della medaglia di una simile impostazione però, ha iniziato a palesarsi negli ultimi decenni: a fronte di un’economia non più in fase di espansione, le nuove generazioni hanno iniziato a incontrare difficoltà nel mantenimento delle proprie abitazioni, spesso frutto di eredità, che fisiologicamente necessitano di interventi di rinnovamento funzionale, a volte rilevanti.
A questo si aggiunge anche il progressivo mutamento delle abitudini di vita, caratterizzata almeno nei primi anni di attività lavorativa da una sempre maggior mobilità e quindi da una decrescente necessità di possedere un immobile di proprietà.
Tali fenomeni di mutamento sociale si inseriscono in un generale contesto di contrazione del potere di spesa medio che ha determinato, anche in ambito extraurbano, lo smembramento di complessi immobiliari facenti capo ad unici proprietari (abitazioni unifamiliari, aree produttive dismesse) in complessi edilizi condominiali, di fatto frammentando la proprietà del suolo urbano a favore della proprietà di piccole porzioni dell’immobile che su di esso viene realizzato.
In buona sostanza negli ultimi decenni si è dato corso, magari anche inconsciamente, ad una progressiva parcellizzazione delle proprietà immobiliari che, se dal Dopoguerra in poi, unita al concetto di casa come bene-rifugio, era indice inequivocabile di benessere economico della nostra società, oggi ci pone di fronte ad un tema fondamentale: la reale capacità di rinnovamento e mantenimento funzionale degli immobili di proprietà che questo sistema è in grado di sostenere.
Le difficoltà che si sono incontrate in tal senso, in particolar modo nei grandi complessi immobiliari urbani, sono sotto gli occhi di tutti laddove il progressivo invecchiamento degli edifici spesso non ha trovato un’adeguata risposta da parte dei singoli proprietari, con amministratori di condominio costretti a lavorare al risparmio nell’alveo della pura attività ordinaria, impossibilitati a trovare una leva decisionale ed economica che permettesse di sbloccare gli interventi di carattere straordinario.
E allora non è un caso se il meccanismo degli incentivi fiscali attualmente vigente (vedremo fino a quando) vede giocare un ruolo di primo piano ai grandi player energetici che in maniera temporanea per la durata dei lavori riescono a mettere tutti d’accordo da un punto di vista sia decisionale che economico nelle varie assemblee di condominio. Essi rappresentano quell’unico interlocutore che in buona parte dei Paesi europei, dove il concetto di proprietà è sempre stato meno radicato a favore dell’affitto (inteso come utilizzo di un bene per il periodo di tempo di cui ne necessito) si identifica nel fondo o società immobiliare proprietaria dell’intero complesso. Quel soggetto con cui dialogare che manca agli amministratori di condominio del nostro Paese.
Benché il concetto di uso stia trovando la sua fetta di mercato nella nostra società in vari settori (si pensi all’automotive con il noleggio a lungo termine, all’informatica con le subscription annuali delle licenze software, ecc.) e quindi più o meno lentamente anche in quello immobiliare, particolarmente nelle grandi città il problema dell’immobilismo nel rinnovamento degli edifici permane e permarrà per lungo tempo su gran parte del nostro patrimonio edilizio.
È impensabile che siano i privati a farsene carico, se non per ragioni economiche anche solo per dinamiche decisionali, spesso insuperabili quando si tratta di dover trovare una sintesi verso su unico obiettivo per decine di persone con mentalità ed esigenze diverse.
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È necessaria quindi una profonda riflessione da parte degli organi istituzionali, che dovrebbero iniziare ad inserire nel concetto di tutela della proprietà privata anche la possibilità economica per il singolo cittadino di essere in grado di mantenere la propria abitazione efficiente e funzionale. Tema che dal privato si sposta immediatamente verso il pubblico, in quanto strettamente collegato con il decoro urbano e, non da ultimo, con la sicurezza degli edifici che così spesso si pone sulla ribalta della cronaca quotidiana.
È un tema delicato, perché certamente i soli incentivi fiscali non possono sorreggere un intero settore, ma che non può essere ignorato pena l’ulteriore peggioramento della situazione attuale, spesso in maniera irrecuperabile. Viene da chiedersi inoltre quale moneta di scambio possano poi richiedere questi grandi soggetti (energetici e/o finanziari) nel medio termine, una volta completati i processi di rinnovamento ed efficientamento dell’esistente: forse le pure forniture energetiche dei complessi rinnovati non saranno più sufficienti e ad esse si dovrà aggiungere anche un meccanismo contrattualizzato di manutenzione periodica. Potrebbe non essere un male per gli edifici in questione, ma sarà ancor più necessario monitorare che non venga poi meno la reale disponibilità dell’immobile per il singolo utente, che non va confusa con la mera proprietà.