L’obbligatorietà della digitalizzazione (B.I.M.)

25.07.2020 - Tempo di lettura: 3'

Nel settore delle opere pubbliche

A far data dal primo gennaio 2019 è scattato in capo alle stazioni appaltanti l’obbligo della richiesta dell’uso dei metodi e degli strumenti elettronici di cui all’art. 23, comma 1, lett. h) del Codice dei Contratti pubblici (D.lgs. 50/2016), per l’affidamento dei lavori complessi relativi ad opere di importo a base di gara pari o superiore a 100 milioni di euro.

Tale obbligatorietà, secondo le previsioni dell’art. 6 del D.M. 560/2017, rubricato “Tempi di introduzione obbligatoria dei metodi e strumenti elettronici di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture”, andrà man mano ad estendersi agli affidamenti di valore progressivamente inferiore da qui sino al 2025, quando i metodi e gli strumenti elettronici di cui al richiamato art. 23 del D.lgs. 50/2016 diverranno obbligatori anche per le opere di importo a base di gara inferiore a 1 milione di euro.


Come è noto la dottrina ha individuato nel D.M. 560/2017, adottato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in attuazione dell’articolo 23, comma 13, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, lo strumento con cui il legislatore ha permesso al B.I.M. di trovare applicazione nel settore degli appalti pubblici, consentendo dal punto di vista normativo il collegamento, appunto, tra il concetto di strumenti e metodi di modellazione elettronica e quello della nuova metodologia.

Dalla lettura dell’art. 6 del citato decreto, in particolare, è dato rilevare come gli strumenti e i metodi di modellazione elettronica (leggi B.I.M.) risultino obbligatori da quest’anno e sino a tutto il 2022 laddove, però, affianco agli importi posti a base di gara come prestabiliti dal legislatore, che si riducono progressivamente col trascorrere degli anni, si possano accostare delle opere la cui realizzazione possa definirsi come “lavori complessi”.

L’obbligatorietà della digitalizzazione ricollegata al concetto di “lavori complessi” andrà a scomparire a far data dal 1*gennaio 2023.

Il legislatore appare individuare, con tale confine temporale, l’ultimo baluardo prima che il concetto di B.I.M., ed il suo uso nei contratti pubblici, divenga definitivamente il metodo di riferimento. Non più, quindi, solo una mera opportunità, come accade oggi laddove l’uso della digitalizzazione è previsto come obbligatorio soltanto se convivono determinate condizioni.

La prima di queste condizioni è, appunto, poter definire i lavori da porsi a base di gara come “complessi”.

La definizione di “lavori complessi” si rinviene all’art. 3 lett. oo) del Codice dei contratti pubblici, cui l’art. 2 lett. e) del D.M. 560 /2017 rinvia prima di integrarla con una propria elencazione atta ad ampliarne la casistica proprio ai fini della sua utilizzabilità in ottica di adozione del B.I.M..

La seconda condizione per l’obbligatorietà nell’adozione del B.I.M. è che l’importo dei lavori da porsi a base di gara sia per il 2019 pari o superiore a 100 milioni di euro, per il 2020 pari o superiore ai 50 milioni di euro, per il 2021 pari o superiore ai 15 milioni di euro e per il 2022 di importo a base di gara pari o superiore alla soglia di cui all’articolo 35 del codice dei contratti pubblici (cfr. art. 6, lett. da a) a d), D.M. 560/2017).

Venendo alla motivazione che ha portato il legislatore a mantenere fermo il riferimento al concetto di “lavori complessi” da qui sino al 31 dicembre 2022, ai fini della determinazione dell’obbligatorietà per le stazioni appaltanti nell’adozione di metodi e strumenti di modellazione elettronica, questa va ricercata nel testo dell’art. 3, comma 1, del D.M. 560/2017.

L’art. 3 del citato D.M., rubricato “Adempimenti preliminari delle stazioni appaltanti”, al comma 1 statuisce che l’utilizzo del B.I.M. è subordinato all’adozione, anche a titolo non oneroso, da parte delle stazioni appaltanti, di: “ a)  un piano di formazione del personale in relazione al ruolo ricoperto, con particolare riferimento ai metodi e strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, anche al fine di acquisire competenze riferibili alla gestione informativa ed alle attività di verifica utilizzando tali metodi; b)  un piano di acquisizione o di manutenzione degli strumenti hardware e software di gestione digitale dei processi decisionali e informativi, adeguati alla natura dell’opera, alla fase di processo ed al tipo di procedura in cui sono adottati; c)  un atto organizzativo che espliciti il processo di controllo e gestione, i gestori dei dati e la gestione dei conflitti”.

Di tutta evidenza che il legislatore intende consentire l’utilizzo di metodi e strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, innanzitutto a stazioni appaltanti adeguatamente strutturate e preparate, definendo i parametri minimi perché queste possano definirsi tali.

Di qui la scansione temporale imposta dal legislatore nell’adozione del B.I.M. che consentirà alle amministrazioni di introdurlo progressivamente con tempistiche adeguate, tuttavia ponendo loro un limite temporale oltre il quale non possono andare per completare il percorso di digitalizzazione.

Sono infatti noti in letteratura i benefici derivanti dall’adozione del B.I.M. in termini di diminuzione dei costi e dei conflitti in fase di realizzazione delle opere, per non parlare dei vantaggi e delle economie che si possono creare grazie a questo approccio in fase di manutenzione del costruito.

Ecco spiegate le tappe serrate imposte alle amministrazioni dal D.M. 560/2017 al fine di addivenire quanto prima a beneficiare di quei vantaggi che la letteratura del settore riconosce al B.I.M. e che le direttive adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio  il  26.02.2014, la n. 2014/23/UE, la n. 2014/24/UE e la n 2014/25/UE, note anche come le “nuove direttive appalti”, recepite dal vigente Codice dei Contratti pubblici, si ponevano laddove prevedevano espressamente l’uso della digitalizzazione al fine di consentire agli stati membri di dotarsi dei necessari strumenti per una più razionale spesa nel settore delle opere pubbliche.

Il comma 2 dell’ art. 3 del D.M. 560/2017 statuisce, infatti, che: “Le stazioni appaltanti si adeguano, comunque, a quanto previsto dal comma 1 entro e non oltre le date fissate dall’articolo 6, comma 1, in relazione all’introduzione obbligatoria dei metodi e degli strumenti di cui all’articolo 23, comma 1, lettera h), del codice dei contratti pubblici”.

In quest’ottica di rapida introduzione della digitalizzazione obbligatoria in materia di opere pubbliche, al fine di una migliore gestione del denaro pubblico, va vista anche la determinazione del legislatore che, all’art. 5 del D.M. 560/2017, prevede che a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto le stazioni appaltanti possono richiedere l’uso dei metodi e degli strumenti di cui all’articolo 23, comma 1, lettera h), del Codice dei Contratti Pubblici per le nuove opere nonché per interventi di recupero, riqualificazioni o varianti.

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Il legislatore, nel prevedere sin dall’entrata in vigore in data 28.01.2018 del D.M. 560/2017 la possibilità per le stazioni appaltanti di utilizzare i metodi e strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, ha imposto però che ciò possa avvenire soltanto laddove le amministrazioni appaltanti “abbiano adempiuto agli obblighi di cui all’articolo 3” del D.M.

Ne deriva che il legislatore non prescinde, quindi, da una corretta ed adeguata competenza e formazione delle stazioni appaltanti nell’adozione del B.I.M.

V’è da dire che in assenza di un completo quadro normativo di riferimento sono ancora molti gli ostacoli da superare verso un pieno utilizzo del B.I.M. da parte delle amministrazioni nell’ambito dei lavori pubblici.

Se è pur vero, infatti, che con il D.Lgs 50 del 2016 e il successivo D.M. 560 del 2017 il legislatore ha posto le basi del percorso di elaborazione di nuove norme in grado di innovare ed integrare le precedenti disposizioni in materia di digitalizzazione, ad oggi, però, è altrettanto vero  che il Codice dei Contratti Pubblici abbisogna ancora di rilevanti provvedimenti di attuazione per addivenire ad una completa disciplina della materia.

Il decreto di cui all’art. 44 del D.Lgs 50 del 2016, con il quale dovranno essere definite le modalità di digitalizzazione delle procedure di tutti i contratti pubblici ed anche le disposizioni attuative relative alla qualificazione delle stazioni appaltanti, infatti, non risulta ancora essere stato approvato.

Non appaiono pervenuti neppure i provvedimenti relativi ai livelli di progettazione e alle regole sul percorso da affrontare da parte del R.U.P. nell’acquisizione di competenze in materia di  project management.

Manca anche da parte dell’ANAC l’aggiornamento delle linee guida n. 1/2016, già contenenti gli Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, ove è dato rilevare indicazioni specifiche anche in materia di B.I.M., nonostante siano state poste in pubblica consultazione lo scorso anno.

In questo contesto di assenza di completezza, dal punto di vista normativo e provvedimentale, della disciplina della materia dei contratti pubblici, non si può trascurare il fatto che l’attuale orientamento a livello governativo del paese appare indirizzato verso l’adozione di un nuovo regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice sulla scorta del previgente DPR 207/2010.

Lo prova il Decreto Legge n. 32, 18.04.2019, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 92, meglio conosciuto come “sblocca cantieri”, che prevede la sostituzione delle linee guida ANAC, previste dal nuovo Codice dei Contratti pubblici assieme ai decreti attuativi, come strumento per l’attuazione della disciplina di dettaglio e le cui statuizioni diverranno definitive se sarà convertito entro il 60° giorno dalla sua entrata in vigore.

Decreto Legge che, nell’assenza del nuovo regolamento di esecuzione e di attuazione del D.lgs. 50/2016, prevede all’art. 216, comma 27 octies, che: “nelle more dell’adozione, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettere a) e b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, di un regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del presente codice, le linee guida e i decreti adottati in attuazione delle previgenti disposizioni di cui agli articoli 24, comma 2, 31, comma 5, 36, comma 7, 89, comma 11, 111, commi 1 e 2, 146, comma 4, 147, commi 1 e 2 e 150, comma 2, rimangono in vigore o restano efficaci fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al presente comma

Non prevede, quindi, il D.L. 32/2019 alcuna cessazione dell’efficacia per il D.M. 560/2017 adottato in attuazione dell’art. 23 del D.lgs. 50/2016 che, indipendentemente da quella che sarà la sua sorte del D.L. 32/2019, continuerà ad esistere e a produrre i suoi effetti vincolanti quanto ad obbligatorietà nell’adozione del B.I.M. nei casi dallo stesso previsti e con le relative tempistiche per la sua implementazione.

Va da sé, comunque, che in un contesto normativo così incerto e frammentato e che ora rinvia  per il tramite del D.L. 32/219 ad un nuovo ed ulteriore e provvedimento, il “Regolamento Unico” recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del vigente Codice dei Contratti Pubblici, i contorni della vigente normativa in materia che già apparivano non ben definiti, oggi, se possibile, appaiono ancor più sfumati e continueranno a rimanere tali in ogni caso, finché, a seconda di quello che ci riserverà il futuro, non verrà adottato il “Regolamento Unico” ovvero, se non verrà convertito il predetto decreto legge, verranno adottate tutte le necessarie linee guida ed i necessari decreti attuativi previsti dal Codice dei Contratti Pubblici nel testo ante D.L. 32/2019.

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