Nuovo codice appalti: modernizzare i processi della Pubblica Amministrazione
È da poco stato presentato il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, che diverrà progressivamente operativo dopo un periodo di regime transitorio in sovrapposizione al vecchio Codice e che promette di modificare in maniera sostanziale l’approccio disciplinare ad una tematica così delicata come la programmazione e gestione del patrimonio edilizio pubblico.
Al di là di quanto scritto nel testo effettivo, come sempre la maggior differenza sarà fatta dall’effettiva applicazione delle norme e dalle interpretazioni giurisprudenziali che inizieranno ad intervenire una volta creatosi uno storico di procedure esperite.
Le novità che mediaticamente hanno già guadagnato gli onori della cronaca sono indubbiamente quelle relative alla notevole semplificazione delle procedure di aggiudicazione, che introducono un massiccio ricorso alle procedure ristrette, con un numero limitato di operatori direttamente selezionati dalla Stazione Appaltante in maniera pressoché autonoma.
Maggiore libertà per i funzionari amministrativi, maggiori responsabilità in quanto la scelta degli operatori da invitare avrà maggior peso, ma anche più fiducia da parte delle P.A nei confronti dei propri tecnici.
Un concetto, quello della maggior fiducia, a mio avviso fondamentale: se correttamente gestita, questa modalità potrebbe finalmente scardinare il paradossale meccanismo secondo il quale, nel nome della difesa della trasparenza procedurale, lo Stato si è da tempo posto sostanzialmente nella condizione di non poter scegliere i propri fornitori, se non affidandosi a generiche e formali verifiche di requisiti tecnico-amministrativi.
In un certo senso, certificando l’incapacità di controllo dell’operato dei propri funzionari, si è scelto di consegnare le gare d’appalto ad assegnazioni completamente impersonali (procedure aperte) laddove le copiose richieste burocratiche in fase d’istruttoria non si traducono poi in effettiva selezione dei possibili fornitori. E’ abbastanza evidente che il meccanismo delle Soa da solo non sia riuscito in questi anni a garantire un’adeguata tutela a favore del lavoro svolto dai molti buoni funzionari pubblici presenti sul territorio, che non hanno voce in capitolo nel rapporto con i propri fornitori se non ad assegnazione avvenuta, ma che sono poi chiamati a sorvegliare e verificare l’operato degli stessi: tornare a ricostruire un rapporto di fiducia tra P.A. e fornitori significa anche tornare a rafforzare il rapporto di fiducia tra lo Stato ed i suoi funzionari.
Se è comunque evidente che i principi di tutela della trasparenza amministrativa nell’ambito pubblico debbano essere diversi rispetto a quello privato, perché il vero proprietario in questo caso è la collettività, è altrettanto vero che la responsabilità della buona gestione del patrimonio pubblico resta comunque in capo agli operatori delegati (funzionari delle P.A.) i quali devono poter essere messi nelle condizioni di operare nel migliore dei modi: in buona sostanza, diviene estremamente complesso richiedere alti livelli qualitativi di realizzazione se gli strumenti che vengono messi a disposizione delle Amministrazioni Comunali non sono al passo con i tempi. Ad un sovraccarico burocratico non corrisponde spesso un reale supporto al controllo operativo di gare e lavori.
In quest’ottica, mi sembra molto positiva la spinta inclusa nel Nuovo Codice nei confronti della digitalizzazione, intesa non soltanto come metodo di lavoro per progettisti e imprese (BIM) ma anche e soprattutto come strumento a favore delle Stazioni Appaltanti per l’esperimento ed il controllo delle procedure di gara.
La “Parte II” del Nuovo Codice è interamente dedicata alla “Digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti”, un obbiettivo ambizioso che si pone la P.A., secondo cui tutte le fasi che fanno parte della procedura di gara – programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione – devono avere luogo digitalmente, ossia attraverso piattaforme informatiche istituite ad hoc e rese tra loro interoperabili. In buona sostanza siamo di fronte alla definitiva adozione del concetto di e-procurement, già attivo da qualche anno in alcune Regioni, ma opportunamente implementato ed esteso obbligatoriamente a tutto il territorio nazionale.
Il sistema è finalizzato alla gestione informatizzata di tutti i diversi momenti della commessa pubblica, dall’esperimento della stessa fino alle attività di controllo delle fasi esecutive del contratto.
I punti cardine in questo senso sono tre:
- La creazione di una “Banca Nazionale dei Contratti Pubblici”, già istituita presso ANAC ma con necessità di essere opportunamente estesa e rafforzata.
- Il “Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico”, in cui saranno condensati tutti i documenti attestanti la qualificazione ed i requisiti tecnico-economici-finanziari di ogni concorrente, utili ai fini della singola procedura, con una notevole semplificazione nel controllo da parte delle P.A. ed una possibilità di aggiornamento continuo.
- Le “Piattaforme di approvvigionamento digitale” con le quali opereranno le Stazioni Appaltanti, in parte già esistenti, ma che saranno ora interconnesse ed interoperabili tra di loro, così da assicurare la piena digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici. Tali piattaforme lavoreranno in parallelo alla Banca dati istituita presso ANAC.
Tre passaggi fondamentali verso una digitalizzazione che, almeno nei principi che guidano il testo del Nuovo Codice, non sia un mero ricorso all’automatizzazione dei processi per renderli ancora più impersonali, ma che al contrario allontani le procedure di gara dalla “dipendenza algoritmica” che spesso le condiziona, riponendo al centro il ruolo del funzionario pubblico, la cui competenza e qualificazione deve tornare ad essere un fattore fondamentale per la buona esecuzione di un appalto.