Studiare giurisprudenza: come è cambiata la professione legale
Se molti vedevano il percorso universitario giuridico come sempre una buona scelta, a prescindere che si avessero chiare le idee sul proprio futuro lavorativo, oggi le cose sono completamente diverse e la stessa Università è cambiata profondamente negli ultimi trent’anni.
Era il 1993 quando un giovane neolaureato in giurisprudenza (Mitchell McDeere) entra in un prestigioso studio legale americano a Memphis e vede decollare la propria carriera professionale in poco tempo, sedotto da una montagna di soldi, auto di lusso e successo. Il film è “Il socio”, interpretato da Tom Cruise. Negli stessi anni in Italia andava in scena – questa volta non un film, ma realtà – l’epopea di Mani Pulite, con la caduta della Prima Repubblica e del sistema conseguente. Ebbene, a metà degli anni ’90 in Italia erano moltissimi i giovani attratti dalla professione legale, che poi si sarebbe sviluppata nella libera professione o nella carriera in Magistratura, entrambe erano fonte di ispirazione per una generazione intera. Erano gli anni in cui gli avvocati iscritti all’Albo era circa 50.000, gli anni in cui il trend di crescita dell’Avvocatura era a due cifre ogni anno. In quegli anni l’idea di fare l’avvocato o il magistrato era entusiasmante per molti e una buona strada da percorrere comunque “perché non si sa mai e la laurea in giurisprudenza offre molte possibilità” per altri. Pensate che tra il 1985 e il 2015 i numeri della professione legale si sono quintuplicati, per arrivare oggi a raggiungere la vetta di 241.830 (rapporto CENSIS 2021).
Nel frattempo, di acqua sotto i ponti ne è passata e il tessuto economico, culturale e tecnologico dell’Italia è cambiato moltissimo rispetto alla fine del secolo scorso. Se molti vedevano il percorso universitario giuridico come sempre una buona scelta, a prescindere che si avessero chiare le idee sul proprio futuro lavorativo, oggi le cose sono completamente diverse e la stessa Università è cambiata profondamente negli ultimi trent’anni.
Il percorso di studi
Se prendiamo i dati delle iscrizioni a giurisprudenza negli Atenei italiani vediamo negli ultimi anni un -38% degli iscritti, dato preoccupante al punto tale che ha messo a tacere le polemiche per l’introduzione del numero chiuso, che a questo punto non risulta più necessario. Non è tutto qui. I cambiamenti riguardano anche il livello di preparazione, che appare sempre più scadente, rispetto al passato, e le prospettive di impiego e carriera, che non sono più legate alla professione dell’avvocato e alle aule di tribunale, bensì all’impiego in azienda come giurista d’impresa, ai concorsi pubblici, e all’ingresso in grandi studi legali con la logica dello stipendio e non dell’autonomia professionale. È finita da tempo, in sostanza, l’idea che giurisprudenza sia un jolly che offre mille possibilità, che le prospettive di guadagno siano allettanti, che l’avvio della professione in autonomia sia una opzione facilmente praticabile. La ragioni di questi cambiamenti possono essere ricercate in diversi aspetti del cambiamento in atto: la saturazione della professione come numero di professionisti (all’albo di Roma sono iscritti un numero di avvocati pari a tutta la Francia), la qualità della preparazione fornita dalle Università, che non preparano certo il professionista 4.0, che il mercato richiede, bensì neolaureati poco preparati, obsoleti quanto a mentalità, privi di competenze soft skills (oggi fondamentali) e non pronti ad entrare nel mercato del lavoro con le sembianze che presenta oggi. Per non parlare della specializzazione, assente completamente nei percorsi universitari, quando il mercato oggi richiede sostanzialmente quello. Se poi vogliamo aggiungere altra carne al fuoco, potremmo affrontare anche il tema del tipo di preparazione con cui i giovani escono, totalmente teorica e per nulla pratica, con la conseguenza di entrare in un mondo del lavoro senza saper fare nulla e privi della mentalità e delle competenze richieste, dalle lingue straniere, alla capacità di lettura di un bilancio societario, alla redazione di un atto, alla gestione dello stress, alla capacità di lavorare in team e di performare rispettando scadenze e vincoli.
Non parliamo neppure delle competenze tecnologiche, dal processo telematico, alle videocall, ai gestionali per avvocati, al fascicolo telematico.
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I trend della professione legale
Se il trend nelle facoltà di giurisprudenza indica un pesante calo dell’appeal delle professioni giuridiche, non fa certo eccezione quanto sta accadendo a livello di professione, dove si registra nell’ultimo anno, per la prima volta nella storia dell’Avvocatura un saldo negativo di 1604 unità di iscritti alla Cassa Forense, considerando anche un 5,7% di contribuenti rappresentato da avvocati in pensione che versano alla Cassa (Rapporto Censis sull’Avvocatura 2022). Il 52% della professione forense resta maschile, con un progressivo avanzamento della componente maschile, che entro pochi anni supererà quella dei colleghi uomini (come dato assoluto abbiamo 126.000 uomini e 115.000 donne). Resta, invece, stabile la suddivisione geografica, che vede il Mezzogiorno con oltre il 43% della popolazione professionale, circa un terzo al Nord e il 22,5% nelle Regioni centrali. La popolazione forense tende gradualmente ad invecchiare, perché chi è già da anni che opera professionalmente continua, pur tra mille difficoltà, e la riduzione si vede all’ingresso della professione e nei primi anni di esercizio. Sempre secondo il Rapporto Censis sull’Avvocatura 2022, circa il 15% degli avvocati è over 60 e oltre la metà degli iscritti ha meno di 50 anni, con una media degli iscritti che si attesta a 48,7 anni di età. Se si analizza il dato negativo di crescita (le 1604 unità in meno) fatte le dovute proporzioni, c’è un calo prevalentemente femminile (57,3%) contro un 42,7% maschile.
Il reddito non è più attrattivo
Se, infine, spostiamo l’analisi all’aspetto economico, decisamente la professione – stando ai dati ufficiali pubblicati – è sempre meno attraente. Pensate che il 27% degli avvocati iscritti dichiara un reddito compreso tra i 20.000 e i 50.000 euro e solo il 14,8% dei professionisti del Foro di attestano oltre i 50.000 euro, che in valore assoluto significa circa 36.000 avvocati. Se poi si sale oltre i 100.000 di reddito la percentuale scende al 6,5% della popolazione forense. Sempre secondo i dati Censis 2022, se entriamo nella distinzione tra professione al femminile e al maschile relativamente ai redditi la situazione si fa davvero preoccupante, in quanto ci vogliono due donne avvocato per raggiungere il reddito medio di un collega uomo. In valore assoluto ciò significa un reddito medio al femminile di 23.576 euro, contro un reddito medio al maschile di circa 51.000 euro. Con un ulteriore focus sull’età anagrafica dei contribuenti forensi, la situazione se possibile peggiora ancora, con un reddito medio delle avvocate con meno di 30 anni di età anagrafica di circa 13.000 euro e solo dopo i 50 anni i dati statistici ci dicono che le donne avvocato superano il reddito medio della professione forense. Sempre i dati Censis 2022 forniscono poi uno spaccato economico della professione legale nel suo complesso oserei dire allarmante: il 58,1% degli avvocati (complessivamente considerati, senza ulteriori distinzioni per fascia di età, collocazione geografica e genere) non raggiunge i 20.000 euro di reddito (circa 140.000 avvocati), con 32.000 professionisti che dichiarano reddito zero se non addirittura negativo.
Le conclusioni sono presto tratte anche da chi ha partecipato al Rapporto Censis sull’Avvocatura 2022: situazione critica e futuro incerto. Necessità di cambiamenti culturali, organizzativi e tecnologici. Circa il 32,8% degli avvocati intervistati ha dichiarato di pensare seriamente ad abbandonare la professione nel prossimo futuro per i costi eccessivi della professione, per il calo importante di clientela e di fatturato, per il disamoramento verso la professione o per ragioni personali, come un miglior work-life balance.
Chiudiamo con un dato fornito dal Rapporto Censis 2022 che deve far riflettere per il futuro: il 43% del fatturato forense deriva da attività giudiziali in sede civile e solo il 17% da attività stragiudiziali, con i dati relativi alle procedure di arbitrato e mediazione inferiori al 2%.