Legge sulla firma digitale: le casistiche e gli ordinamenti
Legge sulla firma digitale ed elettronica: i casi particolari
Di tanto in tanto è interessante occuparsi di questioni relative alla formazione e gestione del documento informatico al fine di approfondire aspetti e problematiche che possono porsi soprattutto laddove si abbia a che fare con documenti muniti o privi di firma digitale.
Naturalmente, il punto di partenza in tali casi non può che essere la previsione dell’art. 20, comma 1 bis, del Codice ai sensi del quale “il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID ai sensi dell’articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore. In tutti gli altri casi, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l’ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida”.
Il legislatore, dunque, identifica le modalità affinché al documento informatico possa essere conferita dignità probatoria pari allo scritto nonché efficacia probatoria sino a querela di falso; dette modalità, secondo il nostro legislatore, consistono fondamentalmente: nell’apposizione di una firma elettronica:
- nell’apposizione di una firma digitale;
- nell’apposizione di una firma elettronica avanzata
- nella formazione del documento secondo il processo di identificazione stabilito dall’AgID, che attualmente, a seguito delle linee guida emanate nel mese di aprile 2020, corrisponde alla firma elettronica apposta mediante l’utilizzo di SPID.
Occorre però prestare attenzione perché per talune categorie di atti il legislatore non è stato così liberale e ha ristretto la possibilità di utilizzo delle firme elettroniche alla sola firma digitale.
È il caso dell’art. 21, comma 2-bis CAD ai sensi del quale “salvo il caso di sottoscrizione autenticata, le scritture private di cui all’articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 12, del codice civile, se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità, con firma elettronica qualificata o con firma digitale. Gli atti di cui all’articolo 1350, numero 13) del codice civile redatti su documento informatico o formati attraverso procedimenti informatici sono sottoscritti, a pena di nullità, con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale ovvero sono formati con le ulteriori modalità di cui all’articolo 20, comma 1-bis, primo periodo”.
È stato dunque creato un sottoinsieme all’interno del quale è consentito l’utilizzo della sola firma digitale per la stipula di scritture con oggetto tipicamente immobiliare; per inciso va detto che tale regolamentazione non pare essere in contrasto con il principio di non discriminazione sancito dal regolamento eIDAS (art. 25: a una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti per firme elettroniche qualificate); invero all’art. 2 del medesimo regolamento si prevede espressamente che la normativa in analisi “non pregiudica il diritto nazionale o unionale legato alla conclusione e alla validità di contratti o di altri vincoli giuridici o procedurali relativi alla forma”. È dunque certamente legittima la scelta del legislatore che ha pensato di mantenere precisi vincoli di forma per una ben delimitata categoria di scritture.
È però interessante interrogarsi sulle modalità di formazione della “scrittura informatica” proprio in uno dei casi previsti dai primi dodici numeri dell’art. 1350 c.c., ovvero nel caso di contratti con oggetto immobiliare.
Nel mondo analogico la situazione non presenta dubbi di sorta: ci si trova di fronte ad una scrittura redatta dalle parti, stampata, firmata dalle stesse e semmai autenticata nelle sottoscrizioni dal notaio a fini di pubblicità immobiliare. Difficilmente a qualcuno verrebbe ad esempio in mente di stipulare verbalmente uno dei contratti previsti dall’art. 1350 c.c., essendo prevista la forma scritta a pena di nullità.
Nel mondo informatico non è invece così immediato giungere alle medesime conclusioni, anche perché occorre interrogarsi su come la locuzione “atti che devono farsi per iscritto”, riportata nella rubrica dell’articolo in esame, possa essere declinata nel mondo dei bit.
Si pensi ad un contratto immobiliare che le parti concludano mediante scambio di consensi verbale, che però venga registrato e racchiuso all’interno di un file .mp3 o .mp4 e venga quindi firmato digitalmente dalle parti (a tal fine val la pena ricordare che il formato CAdES consente di apporre la firma digitale su qualunque tipologia di formato informatico).
Potremo ancora dire di essere in presenza di un contratto verbale e perciò nullo ai sensi dell’art. 1350 c.c.?
La domanda merita risposta meditata che passa attraverso l’analisi del codice dell’amministrazione digitale; si deve infatti considerare che:
- il contratto in esame in quanto munito di firma digitale soddisferebbe il requisito della forma scritta e avrebbe efficacia ex art. 2702 c.c. in forza di quanto previsto dall’art. 20, comma 1 bis, CAD;
- il contratto rispetterebbe anche il vincolo formale previsto dall’art. 21, comma 2 bis, CAD essendo munito di firma digitale.
A fronte di ciò pare difficile, ad avviso di chi scrive, sostenere che si sarebbe in presenza di un contratto verbale nullo dal momento che sono in realtà presenti tutti i requisiti di validità “digitale” dello stesso, sia con riguardo alla forma sia con riguardo alla firma. In realtà l’aver racchiuso le parole all’interno di un file informatico (ancorché in formato audio) e l’aver successivamente “sigillato” tale file con le firme digitali dei contratti ha di fatto portato ad un mutamento della valenza sostanziale e probatoria dei consensi espressi con le parole e non con lo scritto e dunque il contratto stipulato in tal modo sarebbe molto verosimilmente valido ed efficace
Il ragionamento condotto sinora considera un’ipotesi particolare in cui sia comunque presente la firma digitale; analisi a parte meritano invece le manifestazioni di volontà che, seppur prive di firma elettronica, siano trasmesse da una casella PEC (o meglio, da un domicilio digitale) che sia censita all’interno dell’“Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti” (meglio noto come INI-PEC) disciplinato dall’art. 6 bis del Codice.
Nel caso di specie occorre infatti considerare che si tratta di domicili/indirizzi PEC che sono attribuiti in maniera univoca a determinate imprese o professionisti, sicché ben si può affermare che, salvo prova contraria, il messaggio proveniente da un determinato indirizzo o destinato a quel determinato indirizzo abbia come mittente o destinatario effettivo quella determinata impresa o quel determinato professionista che l’INI-PEC designa come titolare del domicilio digitale.
Invero, gli indirizzi PEC (rectius: i domicili digitali) in questione vengono da sempre comunicati all’INI-PEC dagli Ordini di appartenenza dei professionisti o dal Registro Imprese, con un meccanismo tale da generare una corrispondenza biunivoca tra il codice fiscale o la partita IVA e gli indirizzi PEC.
Non a caso, a testimonianza dell’attendibilità degli stessi, l’art. 65 CAD prevede ora che le istanze e le dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai gestori dei servizi pubblici siano valide anche laddove trasmesse dall’istante o dal dichiarante dal proprio domicilio digitale iscritto in uno degli elenchi di cui all’articolo 6-bis, 6-ter o 6-quater.
Ci si trova pertanto di fronte ad un caso in cui il domicilio digitale istituito presso un indirizzo di posta elettronica certificata, essendo effettivamente riconducibile ad un unico mittente (e ovviamente ad un unico destinatario), con conseguente sicurezza dell’imputabilità degli effetti giuridici ai soggetti protagonisti di una determinata comunicazione elettronica, consente di prescindere del tutto dalla presenza di una firma elettronica da parte dell’istante o dichiarante.
Le questioni esaminate sono un piccolo spunto per un’analisi circa il ruolo della firma digitale nel nostro ordinamento; a volte, come visto, la presenza della stessa, integrata all’interno di un particolare procedimento, può portare a considerare valide pattuizioni che nel mondo analogico sarebbero nulle, altre volte la sua assenza va considerata indolore ai fini della eventuale validità delle dichiarazioni o istanze trasmesse (tramite domicilio digitale) perché lo stesso legislatore ne ha di fatto stabilito la superfluità.
Il fine di tali riflessioni è tra l’altro quello di evidenziare come la firma digitale sia uno strumento dalle grandi potenzialità ma non sempre sia un elemento essenziale per attribuire la paternità di talune istanze o dichiarazioni, sicché è bene avere presente tali opzioni laddove si concepisca ad esempio un sistema di gestione documentale. È infatti indubitabile che l’eliminazione di firme digitali non necessarie snellirebbe gli oneri, soprattutto di conservazione, connessi a determinate categorie documentali e velocizzerebbe in maniera rilevante determinati processo.